Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Conte: c’è bisogno di 3 milioni di posti Le aziende: ora meno tasse Invitalia: speso solo il 2% dei fondi europei
NAPOLI «È la radiografia di una frattura profonda, trascurata in decenni di disinvestimento pubblico nel Mezzogiorno che ha prodotto un indebolimento dell’Italia nello scenario europeo e la rottura dell’equilibrio demografico». Giuseppe Provenzano ha da pochi mesi lasciato la vicedirezione della Svimez, ora siede al governo, su una poltrona incandescente, quella di ministro del Sud. Conosce i dati, da tempo parla di recessione, di emorragia.
Ma fin qui siamo alla fotografia tragica del presente e al giudizio negativo sulle politiche passate: nella migliore delle ipotesi fallimentari. Nello stesso giorno del rapporto Svimez, Arcelor Mittal annuncia la fuga da Taranto e dall’Italia. Come se non ci fosse mai fine al peggio. Come un contrappasso per espiare la mancanza ultradecennale di politiche industriali. «Bisogna creare tre milioni di posti di lavoro al Sud», dice il premier Giuseppe Conte, che presiede, e oggi suona quasi come un ossimoro, il governo più meridionale della storia (per appartenenza geografica). «Il rapporto – continua – segnala che nell’ultimo decennio, il divario occupazionale tra Nord e Sud è aumentato di due punti percentuali».
Per mettersi in pari, questo è il tema, servono 3 milioni di nuovi posti di lavoro. Il premier annuncia il varo, entro fine anno, del Piano per il Mezzogiorno, quello a cui, appunto, sta lavorando Provenzano. Il tema è che la prospettiva è peggiore del presente. «Dal 2002 al 2017 sono migrate dalle regioni meridionali oltre due milioni di persone – continua ancora Conte – Se si procede con questo trend il Sud perderà 5 milioni di cittadini. La dinamica migratoria sfavorevole è determinata da carenza di lavoro». «Il rapporto Svimez non è solo un grido di dolore – prosegue Provenzano – indica politiche di cambiamento possibile». E, annuncia il ministro, il Piano Sud si baserà molto sulle indicazioni dell’associazione: istruzione, innovazione, ambiente, lavoro. Queste saranno le priorità: «Non possiamo perdere altro tempo».
Per l’intera giornata si susseguono le dichiarazioni. L’allarme è condiviso dai sindacati. Doriana Buonavita, segretaria Cisl Campania dice chiaramente che «il Sud e la Campania non hanno bisogno di politiche assistenziali ma di interventi strutturali per il lavoro e la crescita». Chiede un rafforzamento delle politiche di coesione Nicola Ricci della Cgil: «Con la nuova programmazione europea saranno disponibili per il Sud 42 miliardi e la Campania è una di quelle regioni dove si registrano ancora ritardi».
A scagliarsi apertamente contro le attuali politiche, come il reddito di cittadinanza, Confindustria. Il leader degli industriali napoletani, Vito Grassi: «Il Meridione è stato superato perfino da Ceuta e Melilla, dalla Guyane francese e dalla Macedonia. Appare ormai chiaro che misure di sussidio monetario come il Reddito risultano poche efficaci ai fini di un riequilibrio sociale e rischiano di essere anche controproducenti. Di fronte a scenari così apocalittici vanno adottate con urgenza politiche di sviluppo capaci di risollevare il Mezzogiorno ponendo al centro l’impresa. Se si vuole incidere davvero dobbiamo tornare sull’eterna occasione mancata: la riduzione del carico fiscale e contributivo sul lavoro». Senza dimenticare la formazione orientata al lavoro. E cita come modello virtuoso il lavoro fatto dalla Federico II a San Giovanni a Teduccio.
Non mancano ovviamente le polemiche sul fronte politico. Il centrodestra regionale attacca Vincenzo De Luca a causa del quale «la Campania è diventata la zavorra del Sud». Mentre la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna invita a un impegno collettivo: «Sento il dovere di uscire dalla sterile lamentazione. È il momento di imporre soluzioni coraggiose come una grande notax area che attragga investimenti e lavoro».
L’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri sposta il tema su un dato: i soldi. Quelli ci sono sempre stati per il Sud. «Dei 54 miliardi di fondi europei stanziati ne sono stati spesi solo il 19,8 per cento. A questi bisogna aggiungere le risorse del Fondo sviluppo e coesione, pari a 67 miliardi. Fino ad ora ne abbiamo speso solo il 2 per cento – dice -. Questo è sostanzialmente uno scandalo». Come dargli torto?
Grassi
Superato perfino dalla Guyane e dalla Macedonia
Carfagna
Soluzioni coraggiose come una grande no tax area
Ricci
Troppi ritardi sulle politiche di coesione Deserto industriale Nella foto grande: i capannoni in disuso dell’ex Corradini a San Giovanni a Teduccio