Corriere del Mezzogiorno (Campania)
GUELFI E GHIBELLINI IN AZZURRO
Quando leggerete queste note probabilmente la situazione sarà più chiara e, almeno lo speriamo con tutte le nostre forze, le cose saranno rientrate in un alveo di apparente normalità. Quanto è successo l’altro ieri, nel surreale dopopartita contro l’onesto Salisburgo, e nelle successive convulse ore non può tuttavia passare senza lasciare segni. I tifosi del Napoli hanno assistito a qualcosa che non ha precedenti nel calcio giocato a questi livelli. I commentatori dell’esclusivista Tv satellitare, che pure avrebbero avuto ampia materia di discussione fornita da Conte che ha portato avanti un suo personale, individuale e unilaterale ammutinamento dalla sua società, erano imbarazzati e si guardavano senza riuscire a formarsi un’opinione: eppure sono largamente più esperti, scafati e conoscitori delle cose di campo rispetto a noi che, con l’animo di un parente di un malato grave che attende notizie all’esterno della porta del pronto soccorso, attendevamo di capirci qualcosa. Inutilmente. C’è qualcosa che non va, questo è chiaro. Qualcosa di molto grave. Il tifoso non può fare a meno di chiedersi quale sia la causa e quale l’effetto, se le cattive prestazioni e gli scadenti risultati dipendano dalle fratture interne o se queste siano generate proprio dall’ondivago andamento della squadra: il risultato purtroppo non cambia, e nemmeno si capisce in che modo invertire questo trend.
Un trend che, a oggi, vede gli azzurri fuori dalle posizioni europee della classifica del campionato e irrimediabilmente fuori dalla lotta scudetto che pure era stata dai massimi esponenti della società individuata come obiettivo solo due mesi fa. Nell’ultimo anno e mezzo la tifoseria, e anche gli addetti ai lavori e i tifosi cosiddetti eccellenti, si sono andati spaccando in due fazioni: i Guelfi, sostenitori delle posizioni societarie e allineati
alla volontà e alle strategie del presidente, e i Ghibellini, che imputavano allo stesso di non puntare tanto alla vittoria dei trofei quanto al redditizio consolidamento nei posti nobili d’Italia e d’Europa. Sono corse parole grosse, perfino insulti. Le accuse di non voler bene al Napoli, addirittura di gioire di certe sconfitte, di non essere veri tifosi si sono sprecate. Si sono frantumate antiche amicizie, uomini liberi sono diventati molto meno liberi perché prigionieri delle loro stesse teorie. I pregiudizi si sono formati e si sono consolidati, fino a scontrarsi con le evidenze più clamorose.
Ecco, quello che è accaduto nel ventre del San Paolo ieri l’altro dovrebbe e potrebbe avere almeno questa positiva funzione: al capezzale del grande ammalato ci si potrebbe ritrovare, trovare conforto e abbracciare nella malinconia di un progetto che ci ha messo anni a costruirsi e che potrebbe, senza il concorso di tutte le forze che partecipano alla formazione e allo scambio delle opinioni, sbriciolarsi miseramente nel breve volgere di un paio di mesi.
Non è nemmeno più il momento, a nostro avviso, di reperire le ragioni e i torti: a poco serve adesso puntare il dito su qualcuno, o individuare un principale responsabile dell’accaduto. I dati di fatto registrano una squadra che ha bisogno di tirare trenta volte in porta per ottenere un misero golletto in casa; che ha una difesa in perenne crisi d’identità, che subisce un numero di rigori impressionante, con falli che comporterebbero l’espulsione da ogni scuola calcio di buon livello; che ha adottato quattro moduli di gioco e dodici formazioni diverse in altrettante partite, con mezzo organico impiegato fuori ruolo. Non si può andare avanti così, e chi lo sostiene dovrebbe anche spiegarne con chiarezza le ragioni. Bisogna cambiare subito quello che si può cambiare, ottimizzando quello che invece deve restare com’è.
Lo diciamo sempre: il tifoso non è un cliente, al quale deve essere venduto un prodotto e basta. Il tifoso è un appassionato investitore, un socio irrinunciabile al quale si devono rispetto e attenzione. Lasciare lo stadio in silenzio, rifiutare le gerarchie e proporre al mondo l’immagine di un’armata Brancaleone raffazzonata e senza identità fino al momento di spaccarsi in fazioni, quando le identità vengono a galla eccome, maleducatamente e anche un po’ vigliaccamente rinunciando a metterci la faccia è prima di tutto questo: una mancanza di rispetto. Vale la pena di pensarci su.