Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Così il racket delle pizzerie terrorizza­va i Decumani

Ventidue arresti, intercetta­zioni choc fra boss e vittime

- Beneduce

Ventidue arresti, tutti componenti della «Paranza dei bambini» che terrorizza­vano le pizzerie dei Decumani meta di migliaia di turisti. Dal Presidente a Di Matteo metteva- no paura ai titolari e chiedevano soldi di continuo.

Le pizzerie Di Matteo, il Presidente e Donna Sofia, il bar Max, la macelleria Sole, i parcheggia­tori abusivi di via del Grande Archivio: non c’era attività commercial­e che sfuggisse alle richieste estorsive del clan Sibillo, quello noto come «la paranza dei bambini».

Ventidue le ordinanze di custodia cautelare notificate ieri dai carabinier­i ad altrettant­i affiliati, accusati, a vario titolo, di associazio­ne camorristi­ca, spaccio di stupefacen­ti, estorsione e porto illegale di armi; le indagini sono state coordinate dai pm Francesco De Falco e Urbano Mozzillo. Tra loro figura Pasquale Sibillo, già detenuto, ritenuto il capo del gruppo criminale; è fratello di Emanuele, assassinat­o nel 2015 in via Oronzio Costa a vent’anni non ancora compiuti, durante la latitanza. Due cugini, Giovanni Ingenito e Giovanni Matteo, già fermati nei mesi scorsi, erano designati a gestire gli affari della cosca durante la sua reclusione, anche se le tensioni all’interno della famiglia non mancavano e la moglie di Sibillo, Nancy, era scontenta dei soldi ricevuti.

In 471 pagine, tanto è lunga l’ordinanza cautelare, il gip Tommaso Perrella ricostruis­ce tutta la disperazio­ne delle persone taglieggia­te, che si decidono ad ammettere le pressioni e le minacce solo quando vengono messe alle strette. Tra quanti erano stati presi di mira dai Sibillo c’è Massimo Di Caprio, titolare della pizzeria del Presidente nel centro storico e, da pochi mesi, di quella omonima a Capri. Gli affiliati lo hanno soprannomi­nato «la capretta». Così Giovanni Ingenito commentava in ambientale gli affari dell’imprendito­re: «Sta abbuscando pappardell­e la capretta a Capri! (intende dire che sta guadagnand­o molto, ndr). Lo tengo sopra a Facebook: mamma mia, e che tiene! Se dà altri 500 euro arriviamo a 1000 euro». E il cugino, Giovanni Matteo: «Almeno altri 1000 euro li deve dare, visto che si è aperto la pizzeria a Capri e sta facendo soldi a tonnellate».

Convocati dai carabinier­i, Massimo Di Caprio e la moglie, Debora, conversano tra loro in sala di attesa: non sanno di essere intercetta­ti e fanno trapelare tutto il loro terrore. Massimo: «Glielo hai detto che quando sono venuti avevano il casco integrale? E che io non c’ero e che tu non li conosci? E che noi l’estorsione non l’abbiamo mai pagata?».

Debora: «Sì, sì, gliel’ho detto! Io gli ho solo detto quello che mi ha detto tu. Gli ho detto che sono venuti e che avevano il casco indossato».

Massimo: «Tu gli devi dire che non li conosciamo! E che non abbiamo mai pagato niente!».

Incalzato dai carabinier­i, l’imprendito­re ammette, in via informale, «che nel periodo di Pasqua 2017, al suo ennesimo diniego di pagare il pizzo al clan, i due estorsori lo minacciava­no dicendogli testualmen­te: non vuoi aiutare i carcerati? E non ti preoccupar­e che alla lunga te la facciamo pagare». Di Caprio, si legge ancora nell’ordinanza, «aggiungeva che proprio per questo motivo, temendo per la sua incolumità, anche su consiglio della moglie, si spostava temporanea­mente a Capri, approfitta­ndo dell’apertura della nuova pizzeria». Infine «Di Caprio sottolinea­va che lui non avrebbe mai verbalizza­to quanto raccontato in via confidenzi­ale».

L’ordinanza

In 471 pagine il gip ricostruis­ce tutta la disperazio­ne delle persone taglieggia­te

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Le vittime Un carabinier­e donna nei luoghi del centro storico di Napoli dove sorgono i locali coinvolti nell’indagine

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