Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il consenso che si cerca con il disprezzo delle regole
Caro direttore, da cittadina napoletana residente nel centro storico, stravolto dalle conseguenze della movida, rifletto ( come si desume dai dati del bilancio consuntivo 2018) sui 36 milioni di euro che il Comune non ha riscosso per l’ occupazione abusiva di suolo pubblico e sugli 8 milioni di euro che non richiede ai legittimi esercenti, come canone di occupazione per la miriade di attività di ristorazione e altro che hanno reso parte del territorio uno spazio nel quale allestire una metaforica cena di Trimalchione.
Da più parti si invitano i cittadini a sottoporre le scelte e l’operato dei rappresentanti delle istituzioni ad un rigoroso esame, che ne illustri le finalità ed i risultati raggiunti. Proviamo a farlo, utilizzando tre categorie di giudizio che rappresentano la demagogica stella polare della nostra amministrazione: legalità, rispetto del territorio e sviluppo economico.
La mancata riscossione dei suddetti crediti evidenzia una precisa scelta politica che azzera, con una sola mossa, il conseguimento dei tre obiettivi: non rispetta le regole, favorisce l’oltraggio del territorio e priva le disastrate casse comunali di risorse preziose, in una città dove i servizi basilari sono inesistenti: ma va bene così. L’importante è che Napoli pulluli di turisti, che storiche testimonianze artistiche siano deturpate da arredi volgari; che i giovani lavorino in modo precario e che fiumi di alcool siano consumati anche fuori dai locali (come recita la recente ordinanza), creando problemi di sicurezza e vivibilità ai residenti. Le finalità di queste scelte politiche sono quelle di alimentare un consenso che dimostra quotidianamente disprezzo delle regole e arroganza nei comportamenti, consapevole dell’impunità di cui gode da parte delle istituzioni. Sono queste le affinità non elettive, bensì elettorali dei nostri tempi.
Se aggiungiamo a queste specifiche dinamiche il degrado e le disfunzioni, che riguardano i trasporti, i rifiuti e le altre inefficienze del Comune, non riusciamo a comprendere come si possa definire la nostra città esempio di «laboratorio civico autonomo», mentre congiure di palazzo ne minano la stabilità politica. Nel dibattito attuale che si interroga sulla napoletanità della città piuttosto che sulla napoletaneria, azzardiamo la definizione di «napoletanaggine», laddove il suffisso negativo evidenzia la permanenza e l’uso tendenzioso dei nostri peggiori elementi costitutivi che, dopo anni di propaganda di ribellismo anarcoide e demagogica oleografia, hanno prodotto una comunità che necessita di rigore, impegno e lungimiranza che sono completamente ignoti alla nostra amministrazione.