Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il principe: l’ho imballato io stesso Adesso mi sento più sollevato
Per la prima volta parla il principe Andrea. Il tesoro in 93 scatoloni
Dentro quella felpa grigia con cappuccio c’è un principe. Lo sguardo melanconico, l’espressione frastornata indossata con genetica eleganza, ma anche sportività, come i jeans e le scarpe da ginnastica. Andrea d’Avalos (classe 1971) ieri è arrivato all’Archivio di Stato di Napoli intorno alle 15.
Dentro quella felpa grigia
NAPOLI con cappuccio c’è un principe. Lo sguardo melanconico, l’espressione frastornata indossata con genetica eleganza, ma anche sportività, come i jeans e le scarpe da ginnastica.
Andrea d’Avalos (classe 1971) ieri è arrivato all’Archivio di Stato di Napoli intorno alle 15. Ha accompagnato settecento anni di carte, imballate in 93 scatoli, dalle pergamene reali alle bolle pontificie. È lì, sulla soglia dell’ex monastero dei Santi Severino e Sossio e vede passare, cartone dopo cartone, la storia della sua famiglia che, poi, è quella di Napoli. Vestito di grigio si è incuneato in un angolo grigio, quasi a voler scomparire.
Principe, settecento anni di storia sulle spalle di un solo uomo: sono tanti vero? «Sì, forse troppi. In queste carte c’è una storia di straordinaria importanza non solo per la mia famiglia e Napoli... Così, adesso, tutto sommato mi sento anche un po’ sollevato…». Con il sequestro cautelativo, lo Stato se da una parte entra a gamba tesa dove nessuno era mai riuscito a ficcare il naso, dall’altra condivide con l’unico erede d’Avalos il peso della Storia. «Questo mi fa tirare un respiro di sollievo. I documenti conservati nei secoli dalla mia famiglia, in varie occasioni sono stati visionati dagli studiosi, si trattava di consultazioni occasionali. Ora questo patrimonio potrà entrare in relazione scientifica con documentazioni analoghe conservate in tutta Europa. È così…». E pare volersi convincere da solo che quello che è avvenuto ieri non è una “violenza” alle proprie cose ma esattamente quello che andava fatto.
L’Archivio e gli arredi di Palazzo d’Avalos erano in un deposito ad Agnano. Chi ce li aveva portati? Suo padre Francesco? «No no, finché c’è stato papà tutto era a Palazzo». Dice così, “a Palazzo” con un’espressione che viene diritta dritta dai quei settecento anni di storia. «Sono stato io a imballare tutto e mettere in sicurezza le cose più preziose, archivio compreso». E quando l’ha fatto? Un anno, una mese fa? «Due settimane fa. La situazione del palazzo è nota a tutti». Mentre lo dice gli si velano gli occhi neri neri e la voce quasi gli si spezza in gola. «Le condizioni strutturali sono quelle che avete raccontato, non era più possibile mettere a rischio il nostro patrimonio».
Principe, lei dove vive? «Vivo a Palazzo. C’è una parte in cui si può ancora abitare». E cosa fa? «Beh, ora mi pare proprio che ho un bel da fare. Devo occuparmi dei beni di famiglia, di questa nuova situazione che si è venuta a creare…». Oltre alla storia dei d’Avalos, il principe Andrea di cosa si occupa? «Io ho studiato e vissuto a Londra. Poi sono tornato a Napoli e, come mio padre, sono musicista, compositore direi. Solo che i nostri generi sono distanti anni luce. Lui si è sempre dedicato alla musica rinascimentale, ai madrigali, io di rock anni Ottanta e Novanta. È quello il mio genere di riferimento. Ho anche fatto il grafico per i videogiochi». E’ proprio lei, dunque, quell’Andrea d’Avalos che ha firmato il restyling di Black Mesa? «E come fa a saperlo? Sì, è un videogioco che aveva avuto molto successo anni fa: mi chiesero di ridisegnarne la grafica. Così lo feci». Dalla grafica hitech alle pergamene.
Mentre parliamo, le “scortiamo” nella sala della Sommaria dove gli scatoloni vengono sistemati provvisoriamente. I corridoi sono lunghi e ovattati di carte. Il punto d’arrivo è il quinto piano. La Sala Gentilizia. Qui sono conservati gli archivi privati delle più importanti famiglie nobili del Regno di Napoli. La porta si apre sulla macchina del tempo: il principe scende le scale di legno, raggiunge il centro della stanza e si guarda intorno. «Caracciolo, Carafa. Ah, ci sono anche i Ruffo di Scilla, di Sicilia…». Legge le etichette che campeggiano su imponenti armadi con le ante di vetro che lasciano trasparire la preziosità dei faldoni. Mani in tasca, stringe le spalle: «È una sala bellissima» dice, eppure pare che l’antica boiserie non basti a lenire questo distacco epocale. Principe, le carte d’Avalos potranno finalmente dialogare con quelle dei Carafa, Pignatelli, dei Serracapriola, fisicamente vicine, ha detto Carrino, proprio come gli uomini e le donne che le hanno prodotte. «È vero, è un aspetto confortante di tutta questa vicenda. Sicuramente ci saranno storici che sapranno intrecciare il racconto che custodiscono con altri racconti e sapranno farle parlare al mondo».
Ora questo patrimonio potrà entrare in relazione con documenti analoghi conservati in tutta Europa
Ho studiato e vissuto a Londra Poi sono tornato a Napoli Amo il rock e ho anche fatto il grafico per videogame