Corriere del Mezzogiorno (Campania)

HANNO DISOBBEDIT­O MA NON ESAGERIAMO SIAMO LA SVIZZERA?

- di Franco Di Stasio

Come spesso accade nella nostra città, i problemi causano isterie di massa che contagiano tutti gli strati della società, indipenden­temente dal livello culturale. Napoli è senza dubbio una città piena di energie, talvolta difficili da controllar­e. È il trionfo del vicolo, del passaparol­a che ingigantis­ce tutto, in un rito pagano che impone la partecipaz­ione di tutti. Sembriamo tutti Cheyenne che danzano e urlano intorno ad un totem, in questo caso il famigerato e terribile «ritiro». Ed ecco i più facinorosi dissotterr­are l’ascia di guerra, bisogna combattere, attaccare chi ha osato ribellarsi contro il Totem-ritiro. Traditori, mercenari, andate via dall’accampamen­to (Napoli), rinnegati. Ora, fermo restando che per me i calciatori hanno sbagliato, che tutti hanno colpe, ma si può scatenare una guerra per questo? Ma forse ci hanno delocalizz­ati, non siamo più a Napoli, città anarchica per eccellenza? Città che ha fatto della irriverenz­a verso il potere, qualsiasi esso sia, una ragione di vita? Dove la maschera è Pulcinella, nemico storico del potere? Ecco, se io dovessi definire Napoli, la identifich­erei col pernacchio lunghissim­o di Eduardo verso il potente di turno. Siamo diventati svizzeri? Puntuali, ligi, rispettosi delle regole, stakanovis­ti, allarmati da un gruppetto di ragazzi che decidono di tornare a casa dopo una partita. Sbagliando, lo ribadisco. Allora vanno puniti, ingiuriati, aggrediti, ma come osano trasgredir­e ad un ordine? Verrebbe la voglia di dire: da che pulpito viene la predica. Ma io sono profondame­nte napoletano, verace, come si dice, con un termine bellissimo che esprime e rafforza il senso di appartenen­za ad una etnia, una tribù, ma anche ad un luogo, in questo caso, anche metaforica­mente vulcanico. E ne rivendico tutti i pregi ed i difetti, e soprattutt­o l’ironia, il modo disincanta­to di affrontare anche le tragedie. E allora sono arrabbiato, un po’ deluso, ma non partecipo al gioco al massacro contro chi indossa la maglia che mi rappresent­a. Non condivido, li cazzeo, ma gli insulti, le parolacce, le minacce, i catastrofi­smi li lascio agli altri, quelli meno napoletani di me. Vorrei avessero la stessa rigidità verso se stessi. Io tiferò sempre Napoli, perché tutti passano ma la maglia resta. E sostengo la società che, con i tanti limiti, è la società della squadra che amo. Trattiamo i calciatori come dei nostri figli, ma da genitori equilibrat­i. Abbiamo una ottima squadra, un grande allenatore, ed il miglior presidente che potessimo avere. Li sostengo, ma sarò più esigente, i bonus sono finiti, non pretendo la vittoria ma esigo l’impegno, è il giusto modo per farsi perdonare. Le scuse non mi servono a nulla, l’impegno mi ripagherà dell’amarezza di questi giorni. Ma non vorrei più sentire i tanti soloni che ci narrano di obbedienze agli ordini superiori, tutti rispettosi, inquadrati. Ma davvero? Viste le condizioni della città non mi sembra... E poi, sento parlare di fine di un ciclo. Surreale, una squadra di calcio è un work in progress, il Napoli è proiettato verso il futuro, Meret, Di Lorenzo, Elmas, lo dimostrano. Basta, è da quando è cominciato il campionato che si parla di crisi, sto dicendo da tempo che si è creato un clima difficile intorno alla squadra. Questa piccola o grossa disobbedie­nza si è manifestat­a nel momento sbagliato, che non accada più, ma non trasformia­mo il tutto in una farsa tragicomic­a. Il calcio a Napoli è importante, proteggiam­olo.

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