Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Sequestrato l’archivio d’Avalos Ridati alla città 700 anni di storia
La soluzione dopo la campagna di stampa del Corriere
È un giorno storico per il pa-trimonio culturale italiano, per Napoli e il Corriere del Mezzo-giorno. Dopo quasi tre settima-ne di inchiesta del nostro gior-nale su Palazzo d’Avalos, i tesori della dimora cinquecentesca so-no finalmente venuti alla luce. La scoperta è stata fatta dai cara-binieri del nucleo Patrimonio culturale, guidati dal maggiore Giampaolo Brasi li: ieri, in un de-posito ad Agna no, son ostati ri-trovati i preziosi arredi, come il famoso letto, e l’ archivio.
NAPOLI Il Ducato blu del nucleo tutela patrimonio culturale non ha la scritta carabinieri. Arriva in “borghese”, per non dare nell’occhio, in piazzetta Grande Archivio. Maneggiare con cura: dentro ci sono settecento anni di storia ovvero le carte private della famiglia d’Avalos, imballate in 93 scatoloni, dalle pergamene alle lettere dei re di Napoli.
Su disposizione della magistratura, i carabinieri e il soprintendente archivistico di Napoli Gabriele Capone, che aveva anticipato al Corriere del Mezzogiorno una ispezione imminente, lo hanno prelevato da un deposito di Agnano dove era stato trasferito dalla famiglia. E lo hanno fatto notificando all’erede Andrea d’Avalos un sequestro cautelativo. Le buone notizie sono dunque due. La prima è che l’archivio esiste ancora: non è stato smembrato o venduto come pure s’era paventato. La seconda è che, dopo una lunga e complessa campagna di stampa, come richiesto attraverso il Corriere del Mezzogiorno da Candida Carrino, direttrice dell’Archivio di Stato di Napoli, le carte d’Avalos hanno trovato casa proprio nel luogo a loro deputato: l’Archivio di Stato che conserva i fondi privati delle più importanti famiglie gentilizie del Regno. La direttrice Carrino organizza le manovre di scarico.
È ora di pranzo, non è semplice. Sono tutti in pausa. I carabinieri avvicinano il Ducato all’ingresso dell’ex monastero, i lavoratori Ales addetti alla movimentazione dei fasci, arrivano con i carrelli. Ma c’è un problema: chi scarica i pacchi e li carica sui dispositivi a rotelle? La blasonata consegna pare bloccarsi per questo impasse burocratico, ma ecco che dal contiguo cantiere Unesco, aperto proprio in uno dei chiostri dell’Archivio, spuntano tre operai dell’Impresa Capriello. Vanno nominati uno ad uno: Attilio Landi, Francesco Santullo
e Michele Napolano. Senza sapere l’importanza di quel carico-scarico hanno offerto volontariamente le loro braccia a questo trasloco epocale. «Figuratevi, non abbiamo fatto niente di speciale» dicono. E invece no. La burocrazia — non era prevista la figura dello scaricatore — stava bloccando un salvataggio che è un atto assai rilevante per la storia di Napoli, messo a segno dopo l’inchiesta del Corriere del Mezzogiorno: «Il giornale ha avuto un ruolo determinante», spiega Carrino. «Leggendo i vostri articoli mi è venuta l’idea di attrarre l’Archivio d’Avalos in questo luogo quasi naturale per quelle carte e grazie al Corriere, burocrazie paralizzanti hanno avuto uno scossone. Ringrazio tutti per la solerzia con cui si sono mossi». Uno ad uno i “cartoni” d’Avalos entrano nell’Archivio. L’imballaggio è quello di un semplice trasloco.
«Quando Capone mi ha parlato di 93 scatole, io ho pensato alla definizione di “scatola archivistica” che è ben più piccola di questi cartoni tout court.
Qui siamo di fronte a un patrimonio sterminato», commenta Carrino. Così in scatoli Chanteclair, Felce Azzurra, Cristallo Puro e Sole Piatti passano i diplomi imperiali, le pergamene reali, le lettere delle principesse e le bolle papali. Il soprintendente Capone li ha sommariamente visionati tanto da accertarsi che si tratta dell’Archivio d’Avalos: «Ho solo potuto dare uno sguardo sommario» dice quando arriva accompagnando il secondo e ultimo carico, quello più prezioso con casse di legno contenenti cinquecentine e pergamene. «Mi ha molto colpito una pianta di Palazzo d’Avalos dettagliatissima e completa di arredi. Da sola ha un valore immenso. Di più non posso aggiungere, la parola spetta alla magistratura».
Gli scatoloni vengono gradualmente trasferiti in una sala transitoria, dove saranno aperti e analizzati. «La cosa più importante da fare ora è inventariare il bene», dice Carrino. Non sarà un lavoro facile visto che l’ultimo che lo ha realizzato, il notaio Scotto di Santonicola iniziò nel 1862 e finì nel 1868. «E’ infatti un lavoro complesso, avremo certamente bisogno di finanziamenti. Il nostro interesse è che questo patrimonio inestimabile possa essere messo a disposizione della comunità scientifica al più presto. Per rassicurarlo, ho detto al principe in maniera affettuosa, che lo Stato gli ha preso in custodia un bene al fine di valorizzarlo al massimo. Io sono immediatamente operativa, pronta presentare un progetto
ad hoc».
La burocrazia
Il trasloco ha rischiato il blocco: non c’erano gli scaricatori
Si sono offerti 3 volontari