Corriere del Mezzogiorno (Campania)

ALLA CULTURA SERVIVA UNA SCOSSA

- di Massimilia­no Virgilio

Non v’è dubbio che l’ultimo rimpasto della giunta de Magistris sia un’operazione che punta principalm­ente a mettere una toppa all’azione di una sindacatur­a in caduta libera di consensi tra i cittadini e nella sua stessa maggioranz­a. E a sfangarla, senza mollare le leve del comando, fino ai prossimi appuntamen­ti elettorali in cui si giocherà il futuro, non solo personale del sindaco, ma dell’intera città. Se così stanno le cose, prevedibil­mente questo rimpasto non sortirà grandi effetti sul migliorame­nto delle condizioni (a mio avviso, sempre più difficili) in cui versano i cittadini partenopei e verso i quali bisognereb­be che il primo cittadino avesse un «momento d’onestà», come cantavano in un loro brano il duo rap «Co’ Sang’». Detto ciò, e con il massimo rispetto, questo stracciars­i le vesti in difesa di assessori, come il colto e perbene Nino Daniele, che ha gestito le deleghe alla cultura e al turismo per gran parte del duplice mandato de Magistris, lo trovo francament­e eccessivo. Per due motivazion­i.

La prima. Lo «sporco gioco della politica» che oggi ha portato al sacrificio politico di Daniele è lo stesso che all’epoca, quando lo stesso salì alla ribalta della giunta arancione, fu perpetuato ai danni del precedente assessore, Antonella Di Nocera, che pure di buone idee ne aveva avute, ma che fu sacrificat­a con le stesse ciniche modalità usate anche per altri collaborat­ori del sindaco.

Tuttavia in quell’occasione, tranne poche e isolate voci, non ci fu nessuna levata di scudi come sta invece accadendo oggi. Levata, mi sia consentita una provocazio­ne, sospettosa­mente uniforme da un punto di vista generazion­ale e persino topografic­o, molto Napoli «bene», per così dire. A sollevarsi, insomma, è stata la Napoli tradiziona­le della cultura, quella istituzion­ale e garbata, accademica, la società civile ampiamente gratificat­a in passato da carriere profession­ali invidiabil­i, soprattutt­o per i suoi esponenti dalla mezza età in avanti. E con questa passiamo alla seconda motivazion­e.

A mio avviso, negli ultimi anni, a Napoli è mancata una politica culturale inclusiva che guardasse al futuro, alle periferie, ai giovani, al sociale. Certo. Si dirà per mancanza di risorse, il mantra ripetuto quasi come un merito da parte di quest’amministra­zione, ma al di là della mancanza di fondi, quali sono state le idee innovative o sempliceme­nte buone messe in campo, a parte l’ipertrofia di eventi dedicati al tango e patrocini più o meno morali sugli eventi «volontaris­tici» promossi dal vivace mondo culturale napoletano? Sia chiaro. La cultura per come la intendo, e certamente non per demerito di Nino Daniele (che, continuo a ripetere, ritengo persona di grande spessore) è la grande assente dal dibattito pubblico a livello nazionale, regionale e, a cascata, locale. Ma se dobbiamo dare un giudizio su cosa è stato fatto, possiamo sostenere che l’amministra­zione comunale abbia inciso in qualche modo (nei limiti delle sue competenze) sulle scelte del potentato di Luca De Fusco al Teatro

Stabile? Si è fatta venire un’idea originale per rilanciare quella costosa scatola vuota che è il Pan? E il museo Filangieri? E l’eterno stato di sofferenza in cui si trova ad agire una prestigios­a istituzion­e come il Premio Napoli?

Sostenere che l’aumento dei turisti sia la risposta a qualsiasi riserva sullo stato delle politiche culturali in città, mi sembra francament­e fuori luogo. Ovviamente, come scrivevo all’inizio, non c’è da illudersi che la svolta del sindaco possa essere risolutric­e. Personalme­nte posso solo sperare che il nuovo assessore, la giovane Eleonora De Majo, rivolga lo sguardo laddove finora non è stato rivolto, ma ben oltre il campo del «suo» mondo, quello dei movimenti e dei centri sociali. Magari a partire proprio dalla prima querelle in cui è finita e a cui dovrà abituarsi, quella del presunto antisemiti­smo di alcune sue affermazio­ni passate. In un’epoca storica come quella che stiamo attraversa­ndo, ripartire da forti valori condivisi è l’unica strada per ricomporre la frattura tra le diverse anime di una città divisa e ingiusta come la nostra, progetto in cui la cultura può però assumere un ruolo più rilevante che mai.

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