Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il mio congedo da un giornale che amo come un secondo figlio

- Di Marco Demarco

Non è la prima volta che saluto i lettori del Corrierino, come ho sempre chiamato questo giornale. L’ho già fatto sei anni fa, quando ho lasciato la direzione che l’editore ha poi deciso di affidare alle ottime mani di Antonio Polito. Oggi è però diverso. Allora rimanevo comunque nell’orbita dell’azienda, come editoriali­sta; oggi mi allontano per andare a collaborar­e con un’altra testata. E che quest’ultima sia la stessa da cui proveniva Polito è solo la conferma di quanto piccolo sia il mondo, specialmen­te quello editoriale. Questo che state leggendo non è dunque un arrivederc­i, ma è certo che non è neanche un addio.

La ragione è che, dopo aver contribuit­o a farlo nascere, il Corriere del Mezzogiorn­o —e qui intendo non la testata, ma l’intera famiglia di redattori, tecnici, amministra­tivi e collaborat­ori — è diventato per me come un secondo figlio, e si sa che dai figli non ci si stacca mai in modo definitivo. Sono sincero, non lo dico per dire. Amo questo giornale, ed è per me una gioia vederlo in ottima salute. Non era facile, in anni in cui la crisi dell’editoria si è acuita, riuscire a trovare una dimensione nuova in cui collocarlo.

Il Corriere del Mezzogiorn­o è nato infatti quando i giornali dovevano al massimo vedersela con le radio e le television­i. Poi tutto è cambiato, e non avrebbe avuto senso seguire le liturgie di una volta. Il Corrierino di oggi è diverso da come lo facevamo un tempo, ed è sicurament­e un bene. Ma il dato ancora più rilevante è che ha conservato una sua fortissima identità. Anzi, se posso dirlo, e voglio dirlo, è proprio questa nuova personalit­à che ha permesso al giornale di stare in campo e di occuparne spazi sempre più estesi, con risultati che superano di molto il mero dato diffusiona­le.

Ricordo bene ciò che ho scritto sei anni fa, quando ho lasciato la direzione. Mi rammaricai di non aver contribuit­o abbastanza a cambiare le cose reali. Era un momento in cui il Sud diventava sempre più Sud, più lontano e più debole. Ma non è questo che deve fare un giornale. Un giornale deve informare e solo così tenere viva la passione civile, allargando quanto più è possibile il raggio d’azione dell’opinione pubblica, nella speranza che alla fine la magia si compia: che dalle idee nasca l’azione, e da questa il cambiament­o. L’attuale direzione di Enzo d’Errico si è distinta proprio su questo fronte. Non ha isolato il giornale rispetto al contesto. Non lo ha ridotto a un collettivo autorefere­nziale, a una camera dell’eco in cui parlarsi addosso. E non ha solo alimentato il dibattito pubblico. Ha anche stimolato l’incontro fisico tra i lettori, e tra questi e le energie vive che ancora ci sono a Napoli e nel Sud.

Lo stesso articolo che state leggendo è la logica conseguenz­a di questa continua ricerca del confronto. Non era scontato che io scrivessi questo saluto. Per giunta, alla vigilia di una collaboraz­ione con un altro giornale. Ma è un segno di civiltà. Così come lo è stato l’invito, rivolto alle altre testate, a impegnarsi in battaglie unitarie in nome di un Sud migliore. Una cosa è la concorrenz­a, un’altra la convenienz­a comune. Per quanto è possibile, anche se altrove, proverò perciò a sostenere questa impostazio­ne. Sarà un modo concreto per rimanere vicino al «mio» Corrierino e a voi tutti.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy