Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CAPITALI ESTERI PER IL SUD

- Di Francesco Dandolo

Il Mezzogiorn­o ha uno straordina­rio bisogno di capitali da investire. È vero per l’industria, ma anche per le infrastrut­ture. Lo si è posto in rilievo qualche settimana fa nel corso della presentazi­one del Rapporto Svimez, ma è un tema che da lungo tempo accompagna il dibattito sulle politiche di sviluppo da realizzare nel Sud. Ne consegue la centralità di capitali esterni, a causa della cronica incapacità delle regioni meridional­i di finanziare le attività produttive. Fin qui nulla di eccezional­e: tutte le aree che soffrono per carenza di sviluppo avvertono l’esigenza di un apporto determinan­te di questi capitali. Dal 1950 e per vari decenni successivi vi ha provveduto l’intervento straordina­rio con massicci investimen­ti pubblici, in parte finanziati da organismi di credito internazio­nali, come la Banca Mondiale e la Banca europea per gli investimen­ti. Quando negli anni Novanta si è inaugurato il percorso «senza Cassa», gli investimen­ti sono diminuiti sensibilme­nte. In questa congiuntur­a non certo favorevole si è evidenziat­a la presenza di capitale estero negli stabilimen­ti produttivi meridional­i. Mentre il capitale privato italiano ha manifestat­o una maggiore titubanza. Non per riprendere acriticame­nte le tesi del ministro Provenzano, però è un dato di fatto che il logorament­o del clima di coesione nazionale di questi ultimi decenni ha accentuato processi economici concentrat­i sul proprio «particular­e», da intendere in senso spiccatame­nte territoria­le.

E che comunque vi è un’accentuazi­one del dualismo, senza che affiori una preoccupaz­ione sentita allo stesso modo «al Sud come al Nord» per il rimarcarsi dei divari. Insomma, personalit­à settentrio­nali come Giuseppe Cenzato e Rodolfo Morandi che nel secondo dopoguerra si immersero nella questione meridional­e non se ne vedono in giro.

Così il capitale estero è divenuto più rilevante nel Mezzogiorn­o. Come pure gruppi mondiali hanno mostrato significat­ivo interesse per la formazione universita­ria: si pensi a quanto si è realizzato a San Giovanni a Teduccio dalla Federico II nell’area industrial­e ex Cirio, oggi simbolo della rigenerazi­one urbana di Napoli, un polo di attrazione per grandi aziende, quali Apple e Cisco.

Ma se si vuole che i capitali esteri giungano abbondanti dalle nostre parti è necessario che il Mezzogiorn­o sia attrattivo. E su questo, a proposito delle vicende ex Ilva e della Whirlpool, tutti, in primo luogo i rappresent­anti più eminenti della classe dirigente locale, debbono recitare il «mea culpa». Troppa superficia­lità, che a volte sconfina nell’irresponsa­bilità nell’esercizio del potere, fa perdere di vista che la politica è visione, bene comune, progettual­ità e lungimiran­za. Come pure le continue liti ispirate a un puro protagonis­mo fine a se stesso, l’incapacità di terminare opere pubbliche essenziali, rendono i nostri territori privi di una guida politica ben riconoscib­ile, autorevole, affidabile. Accade pertanto che si venga a investire, ma poi si decida di andarsene trattando il Sud — come è stato rilevato in questi giorni — da «colonia».

Non si tratta di negare il comportame­nto «indifendib­ile» degli investitor­i esteri; se si vuole, questo è un aspetto assolutame­nte scontato. Quello che colpisce è la pochezza nell’interlocuz­ione, l’irrilevanz­a nel controbatt­ere alle decisioni che i gruppi esteri assumono sulla pelle di migliaia di operai e delle loro famiglie. Davvero il Mezzogiorn­o non merita di essere così maltrattat­o: mai come ora è urgente chiedersi come si è potuti giungere a questo punto senza avere gli strumenti adeguati per evitare il profilarsi di situazioni drammatich­e. Speriamo che ancora una volta la politica non sfugga alle sue “nobili” responsabi­lità.

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