Corriere del Mezzogiorno (Campania)
QUI FORSE SI SCAMBIA UN RAFFREDDORE PER UNA POLMONITE
Probabilmente mi sono perso qualcosa. È pur vero che le cose cambiano velocemente, se non ti adegui rischi di rimanere dietro anni-luce. Mi sembra sia passato un secolo da quando pareggiare a Milano era un risultato non dico trionfale, ma di tutto rispetto, spesso auspicato. Evidentemente nel terzo millennio non è così, se non stravinci al Meazza sei finito, hai sbagliato tutto, sei da disprezzare. Mi devo adeguare, altrimenti rischio di essere considerato vintage, obsoleto, démodé.
Addirittura arcaico. Mi adeguo, quindi, ma non capisco. La mia professione di medico mi ha abituato, nel cercare di capire, di fare diagnosi, ad utilizzare la anamnesi. In medicina è una raccolta dei dati del paziente, con la descrizione delle malattie pregresse. C’è quella prossima, e la remota, che risale all’infanzia. È il primo approccio nella ricerca della diagnosi, che non può prescindere dalla storia clinica. In senso lato, è una ricerca della ”verità “, ed è alla base della teoria filosofica di Platone. Quindi, sempre per cercare di capire, mi accingo a raccogliere i dati anamnestici del Napoli. La remota, ne fisso gli eventi più importanti. Due scudetti, il più grande di tutti che ha calpestato l’erba del San Paolo, che anche solo per questo deve essere considerato un tempio del calcio mondiale, tantissimi tifosi, storici quelli delle curve, migliaia solo agli allenamenti, ma poi la crisi, le banche, i creditori, il fallimento. Rinasce con un produttore cinematografico, e forse non poteva essere diversamente perché Napoli è un set, risale dalla serie C, guarisce. La anamnesi prossima ci dice che la squadra è al vertice in Italia, ma anche all’estero, è sana, diverte, vince, ma non troppi titoli, da questo aspetto può fare meglio, ma comunque è un top club. Tutto bene. L’anno scorso il presidente ingaggia Ancelotti, classificato fra i primi 8 allenatori di tutti i tempi, la squadra è ottima, e arriviamo secondi in un campionato dove da 8 anni si lotta solo per il secondo posto. Quest’anno qualcosa non va, per tanti motivi. Ma comunque siamo competitivi, battiamo il Liverpool, siamo in ottima posizione in Champions, lottiamo in campionato. Poi, la patologia, certamente di origine traumatica, dalla anamnesi non risulta nulla di predisponente ad una malattia. Qualche risultato negativo, non tutti per demerito, a Genk il capitano va in tribuna, qualcuno è in scadenza, c’è un ritiro imposto ma molto mal gestito da tutti. Ma mi sembra troppo poco per scatenare una malattia seria. Non si può considerare grave un paziente perché ha starnutito. E allora continuo a non capire. All’esame obiettivo, il secondo passo di una cartella clinica, la squadra sta bene, gli infortuni rientrano nella media di tutte le squadre italiane, e le cause sono ben note. I traumi in uno sport di collisione, ma anche il persistere di temperature estive, non sottovalutando l’aspetto delle energie nervose, c’è tanta pressione. Lo staff sanitario, e lo dico con cognizione di causa, è affidabilissimo e di altissimo livello. Lo staff tecnico è preparatissimo, i calciatori di ottimo livello. C’è tutto per sentirsi bene, basta una curetta leggera. Invece, se fossi un turista per caso capitato in città, mi sembrerebbe una squadra allo sfascio, in stato comatoso, con i legali pronti a darsi battaglia, tutti zitti altrimenti multe, i tifosi pessimisti, i detrattori catastrofisti. Lo sfascio, il giocattolo rotto, la fine di un ciclo, ecc. ecc. Ed ecco che Napoli ridiventa un set, sempre bellissima, di un film di Fellini, che adoro. Personaggi improbabili che dettano sentenze, in un senso onirico della vita, dove tutto è surreale, un circo. Sembra una scena dei film di De Crescenzo, dove anche la fuga del pappagallo Garibaldi diventa un caso che crea scalpore e preoccupazione. Ma tanto poi torna. E allora? Qual è la diagnosi? Forse sarebbe necessario un approfondimento psicologico. Mi sembra più uno stato mentale alterato che una patologia strettamente organica, anche se il limite fra le due cose è sempre molto sfumato. In psicologia sportiva, in un atleta in età evolutiva, si chiede perché fai questo sport, ma soprattutto per chi lo fai. È fondamentale. La domanda che mi pongo è: perché questa risposta esagerata di massa? È quasi una psicosi collettiva. Ma se non fosse così? Se invece fosse tutto organizzato a tavolino? In un sistema dove girano miliardi, non può venire il sospetto che ci siano i sempre presenti nella storia italiana, i burattinai? Qual è il bersaglio? C’è un progetto? Non lo so, ma preferirei mille volte che si trattasse di un raffreddore scambiato per polmonite. Basta che c’è la salute…