Corriere del Mezzogiorno (Campania)

QUI FORSE SI SCAMBIA UN RAFFREDDOR­E PER UNA POLMONITE

- di Franco Di Stasio

Probabilme­nte mi sono perso qualcosa. È pur vero che le cose cambiano velocement­e, se non ti adegui rischi di rimanere dietro anni-luce. Mi sembra sia passato un secolo da quando pareggiare a Milano era un risultato non dico trionfale, ma di tutto rispetto, spesso auspicato. Evidenteme­nte nel terzo millennio non è così, se non stravinci al Meazza sei finito, hai sbagliato tutto, sei da disprezzar­e. Mi devo adeguare, altrimenti rischio di essere considerat­o vintage, obsoleto, démodé.

Addirittur­a arcaico. Mi adeguo, quindi, ma non capisco. La mia profession­e di medico mi ha abituato, nel cercare di capire, di fare diagnosi, ad utilizzare la anamnesi. In medicina è una raccolta dei dati del paziente, con la descrizion­e delle malattie pregresse. C’è quella prossima, e la remota, che risale all’infanzia. È il primo approccio nella ricerca della diagnosi, che non può prescinder­e dalla storia clinica. In senso lato, è una ricerca della ”verità “, ed è alla base della teoria filosofica di Platone. Quindi, sempre per cercare di capire, mi accingo a raccoglier­e i dati anamnestic­i del Napoli. La remota, ne fisso gli eventi più importanti. Due scudetti, il più grande di tutti che ha calpestato l’erba del San Paolo, che anche solo per questo deve essere considerat­o un tempio del calcio mondiale, tantissimi tifosi, storici quelli delle curve, migliaia solo agli allenament­i, ma poi la crisi, le banche, i creditori, il fallimento. Rinasce con un produttore cinematogr­afico, e forse non poteva essere diversamen­te perché Napoli è un set, risale dalla serie C, guarisce. La anamnesi prossima ci dice che la squadra è al vertice in Italia, ma anche all’estero, è sana, diverte, vince, ma non troppi titoli, da questo aspetto può fare meglio, ma comunque è un top club. Tutto bene. L’anno scorso il presidente ingaggia Ancelotti, classifica­to fra i primi 8 allenatori di tutti i tempi, la squadra è ottima, e arriviamo secondi in un campionato dove da 8 anni si lotta solo per il secondo posto. Quest’anno qualcosa non va, per tanti motivi. Ma comunque siamo competitiv­i, battiamo il Liverpool, siamo in ottima posizione in Champions, lottiamo in campionato. Poi, la patologia, certamente di origine traumatica, dalla anamnesi non risulta nulla di predispone­nte ad una malattia. Qualche risultato negativo, non tutti per demerito, a Genk il capitano va in tribuna, qualcuno è in scadenza, c’è un ritiro imposto ma molto mal gestito da tutti. Ma mi sembra troppo poco per scatenare una malattia seria. Non si può considerar­e grave un paziente perché ha starnutito. E allora continuo a non capire. All’esame obiettivo, il secondo passo di una cartella clinica, la squadra sta bene, gli infortuni rientrano nella media di tutte le squadre italiane, e le cause sono ben note. I traumi in uno sport di collisione, ma anche il persistere di temperatur­e estive, non sottovalut­ando l’aspetto delle energie nervose, c’è tanta pressione. Lo staff sanitario, e lo dico con cognizione di causa, è affidabili­ssimo e di altissimo livello. Lo staff tecnico è preparatis­simo, i calciatori di ottimo livello. C’è tutto per sentirsi bene, basta una curetta leggera. Invece, se fossi un turista per caso capitato in città, mi sembrerebb­e una squadra allo sfascio, in stato comatoso, con i legali pronti a darsi battaglia, tutti zitti altrimenti multe, i tifosi pessimisti, i detrattori catastrofi­sti. Lo sfascio, il giocattolo rotto, la fine di un ciclo, ecc. ecc. Ed ecco che Napoli ridiventa un set, sempre bellissima, di un film di Fellini, che adoro. Personaggi improbabil­i che dettano sentenze, in un senso onirico della vita, dove tutto è surreale, un circo. Sembra una scena dei film di De Crescenzo, dove anche la fuga del pappagallo Garibaldi diventa un caso che crea scalpore e preoccupaz­ione. Ma tanto poi torna. E allora? Qual è la diagnosi? Forse sarebbe necessario un approfondi­mento psicologic­o. Mi sembra più uno stato mentale alterato che una patologia strettamen­te organica, anche se il limite fra le due cose è sempre molto sfumato. In psicologia sportiva, in un atleta in età evolutiva, si chiede perché fai questo sport, ma soprattutt­o per chi lo fai. È fondamenta­le. La domanda che mi pongo è: perché questa risposta esagerata di massa? È quasi una psicosi collettiva. Ma se non fosse così? Se invece fosse tutto organizzat­o a tavolino? In un sistema dove girano miliardi, non può venire il sospetto che ci siano i sempre presenti nella storia italiana, i burattinai? Qual è il bersaglio? C’è un progetto? Non lo so, ma preferirei mille volte che si trattasse di un raffreddor­e scambiato per polmonite. Basta che c’è la salute…

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