Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cajkovskij e «La donna di picche» Prima al San Carlo con Valcuha
Stasera al Massimo l’opera scritta da Cajkovskij a Firenze e rappresentata nel 1890 Il libretto lo firmò il fratello del compositore che si ispirò a un racconto di Puškin Sul podio il direttore musicale Juraj Valcuha. Repliche dal 13 al 15 dicembre
La Donna di picche è un’opera meravigliosa nell’attingere a quelle vaste aree oscure del cuore umano, che Cajkovskij ha indagato per tutta la vita nelle opere, nei balletti, nella musica sinfonica. Il San Carlo apre con La Donna e ne affida la direzione, con nostra grande felicità, al suo direttore musicale, il Maestro Juraj Valcuha.
L’opera fu composta in poche settimane a Firenze e rappresentata nel 1890. Il libretto lo scrisse il fratello del compositore, Modest, che si ispirò (su commissione) all’omonimo racconto di Puškin pubblicato nel 1834. Il soggetto è la rovinosa passione per il gioco delle carte che anima un giovane militare, Hermann, che passa ore davanti al tavolo da gioco senza osare mai una puntata. Tuttavia, gli capita di ascoltare la storia di una vecchia aristocratica, un tempo accanita giocatrice, che in gioventù, a Parigi, aveva perso una somma di danaro mostruosa, recuperandola la sera seguente, grazie al segreto di tre carte vincenti somministratole dal duca di Saint Germain (figura quasi mitologica della Francia prerivoluzionaria, per le sue misteriose conoscenze su, per esempio, la conquista della immortalità). Si racconta dunque che la nobile dama ancora serbi nel suo cuore il segreto. Hermann, da questo momento in poi, è ossessionato dalla vecchia e dal suo mistero delle tre carte. Seduce Liza, che con la vecchia vive, e si introduce nottetempo nelle stanze della Contessa, che per lo spavento muore senza rivelargli le carte. Ma gli apparirà da morta per comunicargliele: tre, sette, asso e Hermann, ormai incurante di Liza, corre a giocare e, dopo aver vinto sul tre e sul sette, perde tutto perché a uscire, infine, non è l’asso ma... la donna di picche.
Tra il racconto di Puskin e l’opera intercorrono diverse differenze: la più rilevante riguarda il destino dei due giovani amanti. Mentre nel racconto Liza sposa un altro e Hermann finisce in manicomio, nell’opera romanticamente Liza si suicida nel fiume e Hermann si spara una pallottola dopo aver chiesto perdono a tutti, e prima di tutti alla donna amata.
Ma chi è la misteriosa Contessa? E quale vero rapporto intercorre tra i personaggi?
Cajkovskij non fa altro che tentare per tutta l’opera di mettere in gioco la contrapposizione fortissima tra due forze potenti, il gioco (la forza negativa) e l’amore (la forza positiva). La narrazione testuale, e lo stesso finale, sembrano voler redimere il nostro protagonista: trascinato dal gioco sì, ma capace con la morte di comprendere l’amore di Liza e lo sperpero che ne ha fatto, e di chiedere perdono (anzi, di ottenere che altri – il coro dei giocatori – lo chiedano per lui, per la sua «anima tormentata»).
Ma la musica ci racconta ben altro, a partire dal portentoso preludio: come nel testo letterario, anche qui la vera ossessione di Hermann è il segreto delle tre carte, il vero amore dell’uomo è la decrepita, orrenda Contessa, la sua unica, travolgente passione nasce dal loro incontro (il primo atto dell’opera ce lo descrive subito, perché la rivelazione dell’amore di Herman sembra riferirsi a Liza — con le parole – ma si dirige invece alla vecchia Contessa — con la musica, grazie al tema associato a questo personaggio). Oggi ci è noto quanto l’omosessualità sia stata fonte di profonda angoscia esistenziale per il compositore russo (secondo una tesi, sarebbe all’origine della sua morte per suicidio imposto da una corte segreta imperiale): ebbene, ben oltre l’ossessione del gioco, e dunque al di là dello stesso racconto di Puškin, credo che la Donna di
Picche sia la proiezione dei nostri desideri più profondi, e il tramutamento dell’energia del desiderio in possessione malevola, generatrice di dipendenza e di mortale tossicità. La Contessa non è altro che una povera vecchia che, a sera, prima di andare a letto, rievoca il suo passato, perché in esso vive congelata ogni suo giorno (e canta, con voce di vecchia, il canto che cantava alla corte di
Francia da giovane: Je crains
de lui parler la nuit, a chiusura del secondo atto, una delle scene più geniali della storia del teatro lirico). Eppure raggela Hermann, e noi: perché noi, con Hermann- ajkovskij, abbiamo paura della nostra complessità, di riconoscerla, affrontarla, raccontarla, viverla. Abbiamo paura che il mondo del desiderio sia troppo pericoloso, fatale e travolgente come la definitiva partita d’azzardo giocata da Hermann. La
Donna di Picche è forse per Cajkovskij la sua stessa percezione dell’amore omosessuale. Ma la verità è che la Contessa non sappiamo definirla e, nel suo mistero malevolo, con ribrezzo tocchiamo la parte di noi che non riusciamo a spiegarci, e che teniamo a bada, allontanandola in un modo o in un altro. Ed è immensamente commovente che Cajkovskij abbia bisogno di perdonare Hermann, perdonando lui stesso. Quando penso che il suo matrimonio con Antonina Miliukova lo fece quasi impazzire e condusse la poverina alla reclusione manicomiale per decenni (sino alla sua morte, nel 1917: da rivedere in vista della prima operistica lo straordinario, illuminante The Music Lovers di Ken Russell!), non posso che piangere insieme con il profondo coro russo finale, perché scenda la pace sui diversi tormenti di noi tutti e, soprattutto, delle anime più sensibili e creatrici. Come fu quella, grandissima, di Pëtr Pëtr Il’ic Cajkovskij.
Il significato
Sul palco la proiezione dei nostri desideri più profondi che si fanno possessione malevola