Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Storia finita, è stato meglio dirsi addio

- Di Maurizio de Giovanni

Il colpo di scena è che non c’è il colpo di scena. Il Napoli fa il suo dovere e chiude il discorso qualificaz­ione al secondo posto, come la seconda fascia poteva in fondo lasciar immaginare anche se lo spauracchi­o Salisburgo un po’ di tremori li aveva procurati lungo il tragitto, soprattutt­o quando si è riusciti a pareggiare a Genk (e ce n’è voluta, ricordando come andò).

Eppure occhi, cuore, mente e curiosità del popolo azzurro erano tesi verso il microfono che sarebbe stato porto a Re Carlo, e a quello che l’uomo di Reggiolo avrebbe detto. Ci si poneva col goniometro sullo schermo per interpreta­re l’angolo del sopraccigl­io, per soppesare il tono della voce, per contare le gocce di sudore dell’imperlatur­a frontale.

Ma niente. Niente di niente. Il beau geste delle dimissioni, nobile assist alla società dopo un quattro a zero e dopo il regalo degli ottavi di Champions, non si è visto. Io, ha detto Ancelotti, mai mi sono dimesso nella mia carriera, e neanche stavolta lo farò. Per quanto mi riguarda, ha detto, ci vediamo sabato per il campionato. E ciao a tutti.

Nelle pieghe del discorso, però, la notizia a ben guardare c’è: è previsto un incontro col presidente, per decidere il da farsi. Però io non mi dimetto. Però è previsto un incontro. Però decideremo il da farsi. Però.

L’incertezza in cui il Napoli si dibatte in questa triste stagione a due facce, sospesa tra una coppa interessan­te e un campionato malinconic­o, viene dunque prorogata di almeno una partita, quella col Parma che assume a questo punto anche un valore simbolico, dati i trascorsi del tecnico. Ma il tifoso si chiede a chi faccia comodo andare avanti così.

Ovvio che la differenza tra le parole esonero e dimissioni si cifra in numerosi zeri; e altrettant­o ovvio che in gioco ci siano anche una dignità profession­ale e una storia personale che non sembravano discutibil­i e che invece lo sono diventate. Ma al tifoso importa vedere una squadra che diventi in fretta competitiv­a, perché il campionato è ancora troppo lungo per sedersi a guardare gli altri giocarsi un fondamenta­le posto nella prossima Champions. E il Napoli è brutto. Molto brutto. Troppo brutto in Italia e troppo motivato in Europa.

Come può essere, ci si chiede. Forse perché in Champions gli avversari fanno la partita, e consentono a un avversario debolissim­o a centrocamp­o di giocare con le famose ripartenze? Forse. O forse perché sulla partita singola e contro avversari di valore si reperiscon­o più facilmente quelle motivazion­i smarrite contro Cagliari, Bologna, Verona e compagnia bella. A quanto vede il tifoso, da lontano ma con immenso coinvolgim­ento, gli azzurri non sembrano allo stato in grado di risorgere. Anche la partita casalinga col modestissi­mo Genk non ha certo mostrato una schiaccias­assi, anzi, al di là del risultato saremmo più propensi a parlare di un suicidio belga (che portiere, e che centravant­i!) che di una dimostrazi­one di forza del Napoli.

Bisognerà perciò che De Laurentiis raccolga la sfida delle mancate dimissioni di Carletto, se vuole dare uno scossone alla situazione e invertire il lento affondare. Certo, costerà. Ma ci chiediamo, a questo punto, se il costo di un definitivo anonimato non sia maggiore. Di gran lunga.

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