Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Storia finita, è stato meglio dirsi addio
Il colpo di scena è che non c’è il colpo di scena. Il Napoli fa il suo dovere e chiude il discorso qualificazione al secondo posto, come la seconda fascia poteva in fondo lasciar immaginare anche se lo spauracchio Salisburgo un po’ di tremori li aveva procurati lungo il tragitto, soprattutto quando si è riusciti a pareggiare a Genk (e ce n’è voluta, ricordando come andò).
Eppure occhi, cuore, mente e curiosità del popolo azzurro erano tesi verso il microfono che sarebbe stato porto a Re Carlo, e a quello che l’uomo di Reggiolo avrebbe detto. Ci si poneva col goniometro sullo schermo per interpretare l’angolo del sopracciglio, per soppesare il tono della voce, per contare le gocce di sudore dell’imperlatura frontale.
Ma niente. Niente di niente. Il beau geste delle dimissioni, nobile assist alla società dopo un quattro a zero e dopo il regalo degli ottavi di Champions, non si è visto. Io, ha detto Ancelotti, mai mi sono dimesso nella mia carriera, e neanche stavolta lo farò. Per quanto mi riguarda, ha detto, ci vediamo sabato per il campionato. E ciao a tutti.
Nelle pieghe del discorso, però, la notizia a ben guardare c’è: è previsto un incontro col presidente, per decidere il da farsi. Però io non mi dimetto. Però è previsto un incontro. Però decideremo il da farsi. Però.
L’incertezza in cui il Napoli si dibatte in questa triste stagione a due facce, sospesa tra una coppa interessante e un campionato malinconico, viene dunque prorogata di almeno una partita, quella col Parma che assume a questo punto anche un valore simbolico, dati i trascorsi del tecnico. Ma il tifoso si chiede a chi faccia comodo andare avanti così.
Ovvio che la differenza tra le parole esonero e dimissioni si cifra in numerosi zeri; e altrettanto ovvio che in gioco ci siano anche una dignità professionale e una storia personale che non sembravano discutibili e che invece lo sono diventate. Ma al tifoso importa vedere una squadra che diventi in fretta competitiva, perché il campionato è ancora troppo lungo per sedersi a guardare gli altri giocarsi un fondamentale posto nella prossima Champions. E il Napoli è brutto. Molto brutto. Troppo brutto in Italia e troppo motivato in Europa.
Come può essere, ci si chiede. Forse perché in Champions gli avversari fanno la partita, e consentono a un avversario debolissimo a centrocampo di giocare con le famose ripartenze? Forse. O forse perché sulla partita singola e contro avversari di valore si reperiscono più facilmente quelle motivazioni smarrite contro Cagliari, Bologna, Verona e compagnia bella. A quanto vede il tifoso, da lontano ma con immenso coinvolgimento, gli azzurri non sembrano allo stato in grado di risorgere. Anche la partita casalinga col modestissimo Genk non ha certo mostrato una schiacciasassi, anzi, al di là del risultato saremmo più propensi a parlare di un suicidio belga (che portiere, e che centravanti!) che di una dimostrazione di forza del Napoli.
Bisognerà perciò che De Laurentiis raccolga la sfida delle mancate dimissioni di Carletto, se vuole dare uno scossone alla situazione e invertire il lento affondare. Certo, costerà. Ma ci chiediamo, a questo punto, se il costo di un definitivo anonimato non sia maggiore. Di gran lunga.