Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La fuga dei cervelli e il rifugio dei politici
Il tema dei giovani che abbandonano il Sud e della perdita delle migliori energie (non approvo del tutto il giudizio a volte fuorviante) è un tema serissimo e centrale nella comprensione dei fenomeni più angusti e tristi dei nostri territori. In verità, il rallentamento demografico e lo spopolamento, che oggi leggiamo come effetti di politiche sbagliate hanno proprio nella fuga il loro aspetto nevralgico. Attrarre i giovani e mantenerli al Sud, come nel resto d’Italia, può essere paradossalmente considerato come il disegno di una classe politica inadeguata.
Che non ha avuto lungimiranza. Di una classe politica, quella attuale, che, disarmante, non ha coraggio per comprendere e competere nel presente.
I luoghi da cui i giovani scappano restano occupati, quasi come un rifugio, da una politica, fatta anche (se non soprattutto) di giovani, che ha schiacciato ogni speranza e che resiste, a prescindere da considerazioni anagrafiche, per affermare la propria sopravvivenza garantendo a pochi un’apprezzabile «sistemazione». Se guardiamo bene il ricambio generazionale c’è stato, la rottamazione si è compiuta, nella classe dirigente e nei partiti, ma la cultura è ancora vecchia, logora, tutto tranne che illuminata. Abbiamo quindi scoperto che il problema non era e non è generazionale: basti pensare all’età dei leader dei maggiori partiti o all’età media dei ministri, solo per fare una considerazione anagrafica.
Quindi cosa è accaduto? Quale dannazione si è abbattuta sull’amato popolo italiano? Una grave frattura si è prodotta tra chi, capace o culturalmente pronto, ha capito che non si poteva più restare e chi, sfidando o meno il presente, è rimasto, a sperare o a governare, con obiettivi discutibili e risultati spesso del tutto inadeguati. Il clima generale di sfiducia, abbondantemente potenziato da una mania autolesionistica che attraversa l’intero Sud (non in grado di valorizzare ciò che di buono pure esiste), ha finito per rendere più complicata di sempre la condizione giovanile.
Per come si sono messe le cose, occorrerebbero piazze con sardine, ma anche senza, ogni settimana, piazze in cui manifestare, sempre pacificamente, contro le inerzie, i soprusi, le pusillanimità, l’indisciplina, e soprattutto contro le quotidiane superficialità che ci affliggono e ci mortificano. Cosa un giovane meridionale deve attendersi per il proprio futuro se un giorno si e l’altro pure vede rinviare possibili soluzioni ai grandi problemi del presente? E cosa deve mai pensare se spesso chi è chiamato a governare affronta le questioni come se non stesse al potere? La perdita di orientamento è diffusa, e il tempo, questo tempo, non sembra rassicurare.
Il valore politico del tempo appare compromesso ed è questa la causa principale della fuga, della rinuncia, della sfiducia. Quando la politica perde di significato? Quando perde la sua relazione con il suo tempo, quando, a prescindere dalle diverse possibili letture e interpretazioni, le scelte politiche che sembrano compiersi non ingaggiano nessun tipo di responsabilità.
Appare molto interessante sul punto la recente analisi di Elizabeth F. Cohen (The Political Value of Time, Cambridge University Press, 2018). La fuga dei giovani, apparentemente nello spazio, è nella sostanza una fuga dal tempo, fuga che solo chi è giovane amaramente può permettersi.