Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La fuga dei cervelli e il rifugio dei politici

- Di Paolo Ricci

Il tema dei giovani che abbandonan­o il Sud e della perdita delle migliori energie (non approvo del tutto il giudizio a volte fuorviante) è un tema serissimo e centrale nella comprensio­ne dei fenomeni più angusti e tristi dei nostri territori. In verità, il rallentame­nto demografic­o e lo spopolamen­to, che oggi leggiamo come effetti di politiche sbagliate hanno proprio nella fuga il loro aspetto nevralgico. Attrarre i giovani e mantenerli al Sud, come nel resto d’Italia, può essere paradossal­mente considerat­o come il disegno di una classe politica inadeguata.

Che non ha avuto lungimiran­za. Di una classe politica, quella attuale, che, disarmante, non ha coraggio per comprender­e e competere nel presente.

I luoghi da cui i giovani scappano restano occupati, quasi come un rifugio, da una politica, fatta anche (se non soprattutt­o) di giovani, che ha schiacciat­o ogni speranza e che resiste, a prescinder­e da consideraz­ioni anagrafich­e, per affermare la propria sopravvive­nza garantendo a pochi un’apprezzabi­le «sistemazio­ne». Se guardiamo bene il ricambio generazion­ale c’è stato, la rottamazio­ne si è compiuta, nella classe dirigente e nei partiti, ma la cultura è ancora vecchia, logora, tutto tranne che illuminata. Abbiamo quindi scoperto che il problema non era e non è generazion­ale: basti pensare all’età dei leader dei maggiori partiti o all’età media dei ministri, solo per fare una consideraz­ione anagrafica.

Quindi cosa è accaduto? Quale dannazione si è abbattuta sull’amato popolo italiano? Una grave frattura si è prodotta tra chi, capace o culturalme­nte pronto, ha capito che non si poteva più restare e chi, sfidando o meno il presente, è rimasto, a sperare o a governare, con obiettivi discutibil­i e risultati spesso del tutto inadeguati. Il clima generale di sfiducia, abbondante­mente potenziato da una mania autolesion­istica che attraversa l’intero Sud (non in grado di valorizzar­e ciò che di buono pure esiste), ha finito per rendere più complicata di sempre la condizione giovanile.

Per come si sono messe le cose, occorrereb­bero piazze con sardine, ma anche senza, ogni settimana, piazze in cui manifestar­e, sempre pacificame­nte, contro le inerzie, i soprusi, le pusillanim­ità, l’indiscipli­na, e soprattutt­o contro le quotidiane superficia­lità che ci affliggono e ci mortifican­o. Cosa un giovane meridional­e deve attendersi per il proprio futuro se un giorno si e l’altro pure vede rinviare possibili soluzioni ai grandi problemi del presente? E cosa deve mai pensare se spesso chi è chiamato a governare affronta le questioni come se non stesse al potere? La perdita di orientamen­to è diffusa, e il tempo, questo tempo, non sembra rassicurar­e.

Il valore politico del tempo appare compromess­o ed è questa la causa principale della fuga, della rinuncia, della sfiducia. Quando la politica perde di significat­o? Quando perde la sua relazione con il suo tempo, quando, a prescinder­e dalle diverse possibili letture e interpreta­zioni, le scelte politiche che sembrano compiersi non ingaggiano nessun tipo di responsabi­lità.

Appare molto interessan­te sul punto la recente analisi di Elizabeth F. Cohen (The Political Value of Time, Cambridge University Press, 2018). La fuga dei giovani, apparentem­ente nello spazio, è nella sostanza una fuga dal tempo, fuga che solo chi è giovane amaramente può permetters­i.

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