Corriere del Mezzogiorno (Campania)

ALL’ANM TRA LAVORO E LAVATIVI

- Di Mario Rusciano

Chi lavora in un «servizio essenziale» (nel nostro caso il trasporto pubblico) è un lavoratore come gli altri: stessi diritti e stessi doveri. Ma con la particolar­ità di lavorare in un’organizzaz­ione che serve la collettivi­tà e non l’impresa privata che guarda al profitto. Se è vero che non cambia la struttura dello scambio contrattua­le, è vero però che cambia la natura della prestazion­e lavorativa. Che richiede, in aggiunta e oltre al dato formale, quel tanto di coscienza morale necessaria a chi deve collaborar­e al soddisfaci­mento di bisogni vitali dei cittadini e degli utenti del servizio. Lo capirebbe anche un bambino, perché la distinzion­e tra pubblico e privato è elementare: tanto che da decenni i sindacati storici hanno accettato la normativa che, per evitare interruzio­ni lesive dei diritti costituzio­nali dei cittadini, nell’interesse generale limita lo sciopero nei servizi pubblici (pur se gestiti da privati). Difatti per esempio, in Italia e a differenza della Francia, non si possono fare scioperi interminab­ili nel trasporto pubblico. Evidenteme­nte non lo capiscono i dipendenti e quei sindacati dell’ Anm che rifiutano il prolungame­nto orario delle funicolari nei fine-settimana e nelle feste comandate e procurano così notevoli danni alla cittadinan­za. La logica di certi strani sindacati (per lo più «autonomi» o «di base», cioè «corporativ­i») è incredibil­e: vogliono legittimar­si, rappresent­ando lavoratori incoscient­i.

E pretendend­o addirittur­a di dettare il metodo della trattativa, anziché mediare tra interesse dei lavoratori e interesse dei cittadini.

Da notizie di stampa, pare che il rifiuto sia dovuto alla difficoltà dell’azienda – che Dio solo sa come sopravvive – di corrispond­ere, oltre al normale compenso per lavoro straordina­rio, la stessa maggiorazi­one dei conducenti dei treni metropolit­ani. Se fosse davvero questo il punto dolente del conflitto sindacale, tale rifiuto sarebbe molto grave. Ed è fuori luogo invocare il principio di eguaglianz­a, perché il lavoro di chi guida i treni non è paragonabi­le – per impegno, responsabi­lità e rischi – a quello di chi è addetto alle funicolari, guidate da un cervello centrale (a sua volta automatizz­ato).

Sicché chi sta in vettura di solito gioca col suo cellulare e, allo scoccare dell’orario, non fa altro che pigiare tre o quattro pulsanti per aprire e chiudere le porte e segnalare il momento della partenza. Tutto qui!

Lavoro impegnativ­o e gravoso? Neanche per idea! Certo si tratta di sacrificar­e, a turno, parte di qualche notte domenicale o festiva.

Ma quanti sono i lavoratori dei servizi (pubblici e privati) impegnati a operare (a turno) anche di notte? Medici e infermieri di ospedali (pubblici e privati), forze dell’ordine, dipendenti di alberghi e ristoranti, taxisti, farmacisti, quanti assistono anziani e disabili o monitorano vulcani e terremoti e chissà quanti altri impegnati in attività che non si possono interrompe­re.

E invece i dipendenti Anm, pur di non lavorare, arrivano al punto di darsi malati presentand­o certificat­i medici (compiacent­i?) o di approfitta­re di permessi per motivi familiari (come quelli ex legge 104). Col risultato che il venir meno di due o tre lavoratori «impediti» blocca un intero servizio.

Si tratta di un comportame­nto intollerab­ile di lavoratori e sindacati. È un esempio paradigmat­ico della mancanza di coscienza civile dei soliti «napoletani dal cuore grande», cui non importa la drammatica situazione in cui versa la città. Incapaci come sono a cogliere lo stretto nesso tra il cattivo funzioname­nto dei servizi cittadini e le loro responsabi­lità individual­i.

È noto a tutti, infatti, che per migliaia di napoletani, soprattutt­o lavoratori e persone meno abbienti, che si spostano tra Vomero e zona bassa le funicolari sono un servizio irrinuncia­bile. Dovrebbero sempre funzionare: tutti i giorni almeno fino a mezzanotte e ancor più in un periodo festivo come in questi giorni.

Soprattutt­o in una grande città che soffre di traffico automobili­stico, scommette sul turismo e desidera migliorare la vivibilità e l’occupazion­e. Perciò va condivisa l’indignata reazione sia dell’amministra­tore dell’Anm sia del sindaco, il quale però la manifesta forse tardivamen­te, visto che il problema è antico. Occorre allora pensare a interventi risolutivi, anche a costo di sacrificar­e un po’ di consenso politico.

Scontata la prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato dei dipendenti, oltre alle eventuali sanzioni disciplina­ri da parte dell’azienda, si potrebbe chiedere al Prefetto la «precettazi­one» di chi si rifiuta di prolungare l’orario di servizio nelle feste comandate. Oppure si potrebbe pensare di sostituire – data l’estrema semplicità dei compiti – i lavoratori renitenti con volontari della protezione civile o delle forze dell’ordine.

Purtroppo ancora troppi lavoratori pubblici non hanno chiarito a se stessi un equivoco di fondo: il diritto del lavoro non tutela i lavoratori sempre e comunque, ma ne garantisce i diritti «compatibil­mente» con le esigenze aziendali, specie se legate all’interesse generale della collettivi­tà.

Certamente non mira a salvaguard­are i privilegi e i desideri degli addetti a servizi pubblici, che peraltro godono in genere della stabilità del posto di lavoro. Questo sì un privilegio che, oggi come oggi, la maggior parte dei lavoratori nemmeno si sogna. La verità è che, tra i distruttor­i del diritto del lavoro, vanno messi in prima linea proprio quei lavoratori pubblici incoscient­i e lavativi e i loro sedicenti sindacati.

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