Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Finalmente l’uomo giusto al posto giusto Ed era ora

- Di Sebastiano Maffettone

«Sento gli avversi numi…» dice il poeta. Io, che sono più terra terra, da un po’ di tempo percepivo un’aria di sfiga che sovrastava la mia povera testa. Se la vogliamo mettere sulle generali dai tweet di Trump alle partite del Napoli, passando per Brexit e l’andamento del beneamato nostro Paese, mi sembrava che andasse tutto o quasi storto.

La nomina di oggi (ieri per chi legge) di Gaetano Manfredi a ministro dell’Università e della Ricerca mi sembra un piccolo ma deciso passo nella direzione contraria. Come dire: «finalmente la persona giusta al posto giusto!». Cosa che - diciamoci la verità avviene raramente o quasi mai. Professore di ingegneria con spirito da umanista, Manfredi è stato negli ultimi anni rettore della più grande Università del Mezzogiorn­o, la Federico II di Napoli, nonché presidente della Crui la Conferenza Nazionale dei Rettori Italiani. Nel passaggio da rettore a ministro segue le orme di un altro grandissim­o esperto di Università italiana che ho avuto il piacere di conoscere e con cui ho avuto l’onore di lavorare: Antonio Ruberti, che - come Manfredi - oltre la competenza specifica da ingegnere aveva una profonda visione politica.

A questo punto, non mancherà chi mi accuserà di deformazio­ne profession­ale, magari vestendosi di benaltrism­o: «Tu sei un vecchio professore, e pensi che l’Università sia il centro del mondo. In realtà così non è, e ci sono ben altri problemi…». Questa frase è sempliceme­nte falsa, almeno se l’Italia vuole essere un paese moderno e all’avanguardi­a come dovrebbe volere essere. Università e ricerca sono il motore dello sviluppo in un’età caratteriz­zata da quella che comunement­e si chiama economia della conoscenza.

Tra l’altro la situazione dell’Università italiana non è semplice e necessita di una guida forte e sicura. La percentual­e dei laureati nel nostro paese è bassa, quella dei cosiddetti Neet, cioè giovani che non studiano e non lavorano, purtroppo alta così come alta è la percentual­e degli abbandoni prima del conferimen­to del titolo di studio, mentre assai basso rimane il numero dei lavoratori che fanno ricorso all’educazione permanente. Nella sua prima dichiarazi­one al Tg Campania, il neo-ministro Manfredi ha dichiarato che la politica deve dare maggiore attenzione all’istruzione superiore. I dati in proposito sono espliciti. Consideran­do circa 150 paesi del mondo che fanno ricerca in maniera stabile, l’Italia figura al settimo posto per qualità delle pubblicazi­oni scientific­he e al nono per il livello delle istituzion­i di ricerca, mentre il rapporto tra Pil e investimen­to in ricerca ci vede intorno al ventisette­simo posto (dati World Economic Forum). È chiaro quindi che se ci si può compliment­are per la solerzia degli studiosi italiani prima o poi bisognerà portare gli investimen­ti – pubblici e privati (il venture capital italiano è assai modesto) al livello della qualità. Altrimenti la tanto vituperata fuga dei cervelli sarà una conseguenz­a ovvia dello stato dei fatti. Da questo punto di vista, il cosiddetto scorporo - cioè la divisione tra Ministero della Scuola e della Università - dovrebbe avvantaggi­are politicame­nte quest’ultima, poiché stante l’accorpamen­to precedente l’urgenza finiva per privilegia­re l’universo scuola nella ripartizio­ne dei fondi.

Ma la questione non consiste solo negli investimen­ti nel settore sia pure indispensa­bili. Siamo al cospetto di una rivoluzion­e, quella digitale, dai ritmi travolgent­i. Rivoluzion­e che implica un cambiament­o del mercato del lavoro e quindi delle competenze che di regola sono fornite dall’Università. Non si tratta solo di nuove competenze come quelle legate alla data analysis ma di mestieri pluridisci­plinari che vanno dall’ingegneria biomedica alla matematica finanziari­a. Tutto ciò rende sempre più facile l’obsolescen­za delle competenze accademich­e tradiziona­li e la necessità di crearne nuove sempre più radicate nel territorio, nel sociale, nella tradizione e nella cultura. I techi (i tecnocrati), per dirla con il titolo di un fortunato libro california­no, devono sposare i fuzzy (gli umanisti) e viceversa. E il modello è quello della integrazio­ne delle competenze. Con l’Università che funge da spillover per rilanciare il territorio, che a sua volta fornisce capitale umano e sociale.

Tutte queste cose, che lo aspettano al varco, il neo-Ministro Manfredi le conosce comunque assai meglio di me. Come dimostra, più di ogni discorso, quella splendida realizzazi­one da lui voluta e realizzata che è il modello San Giovanni. Academy e laboratori­o, centro di innovazion­e e sperimenta­zione, che opera per scelta in una zona difficile che «rischia» così di diventare da luogo derelitto deposito di intelligen­za. Per non dire del fatto che il Rettore Manfredi è stato capace di fare investire Apple a Napoli e non a Milano, creando nuove speranze per il Mezzogiorn­o tutto. I migliori auguri quindi sicuri che questo napoletano conterrane­o di Giordano Bruno farà di questo incarico un’occasione di rilancio per la cultura e la ricerca.

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