Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Finalmente l’uomo giusto al posto giusto Ed era ora
«Sento gli avversi numi…» dice il poeta. Io, che sono più terra terra, da un po’ di tempo percepivo un’aria di sfiga che sovrastava la mia povera testa. Se la vogliamo mettere sulle generali dai tweet di Trump alle partite del Napoli, passando per Brexit e l’andamento del beneamato nostro Paese, mi sembrava che andasse tutto o quasi storto.
La nomina di oggi (ieri per chi legge) di Gaetano Manfredi a ministro dell’Università e della Ricerca mi sembra un piccolo ma deciso passo nella direzione contraria. Come dire: «finalmente la persona giusta al posto giusto!». Cosa che - diciamoci la verità avviene raramente o quasi mai. Professore di ingegneria con spirito da umanista, Manfredi è stato negli ultimi anni rettore della più grande Università del Mezzogiorno, la Federico II di Napoli, nonché presidente della Crui la Conferenza Nazionale dei Rettori Italiani. Nel passaggio da rettore a ministro segue le orme di un altro grandissimo esperto di Università italiana che ho avuto il piacere di conoscere e con cui ho avuto l’onore di lavorare: Antonio Ruberti, che - come Manfredi - oltre la competenza specifica da ingegnere aveva una profonda visione politica.
A questo punto, non mancherà chi mi accuserà di deformazione professionale, magari vestendosi di benaltrismo: «Tu sei un vecchio professore, e pensi che l’Università sia il centro del mondo. In realtà così non è, e ci sono ben altri problemi…». Questa frase è semplicemente falsa, almeno se l’Italia vuole essere un paese moderno e all’avanguardia come dovrebbe volere essere. Università e ricerca sono il motore dello sviluppo in un’età caratterizzata da quella che comunemente si chiama economia della conoscenza.
Tra l’altro la situazione dell’Università italiana non è semplice e necessita di una guida forte e sicura. La percentuale dei laureati nel nostro paese è bassa, quella dei cosiddetti Neet, cioè giovani che non studiano e non lavorano, purtroppo alta così come alta è la percentuale degli abbandoni prima del conferimento del titolo di studio, mentre assai basso rimane il numero dei lavoratori che fanno ricorso all’educazione permanente. Nella sua prima dichiarazione al Tg Campania, il neo-ministro Manfredi ha dichiarato che la politica deve dare maggiore attenzione all’istruzione superiore. I dati in proposito sono espliciti. Considerando circa 150 paesi del mondo che fanno ricerca in maniera stabile, l’Italia figura al settimo posto per qualità delle pubblicazioni scientifiche e al nono per il livello delle istituzioni di ricerca, mentre il rapporto tra Pil e investimento in ricerca ci vede intorno al ventisettesimo posto (dati World Economic Forum). È chiaro quindi che se ci si può complimentare per la solerzia degli studiosi italiani prima o poi bisognerà portare gli investimenti – pubblici e privati (il venture capital italiano è assai modesto) al livello della qualità. Altrimenti la tanto vituperata fuga dei cervelli sarà una conseguenza ovvia dello stato dei fatti. Da questo punto di vista, il cosiddetto scorporo - cioè la divisione tra Ministero della Scuola e della Università - dovrebbe avvantaggiare politicamente quest’ultima, poiché stante l’accorpamento precedente l’urgenza finiva per privilegiare l’universo scuola nella ripartizione dei fondi.
Ma la questione non consiste solo negli investimenti nel settore sia pure indispensabili. Siamo al cospetto di una rivoluzione, quella digitale, dai ritmi travolgenti. Rivoluzione che implica un cambiamento del mercato del lavoro e quindi delle competenze che di regola sono fornite dall’Università. Non si tratta solo di nuove competenze come quelle legate alla data analysis ma di mestieri pluridisciplinari che vanno dall’ingegneria biomedica alla matematica finanziaria. Tutto ciò rende sempre più facile l’obsolescenza delle competenze accademiche tradizionali e la necessità di crearne nuove sempre più radicate nel territorio, nel sociale, nella tradizione e nella cultura. I techi (i tecnocrati), per dirla con il titolo di un fortunato libro californiano, devono sposare i fuzzy (gli umanisti) e viceversa. E il modello è quello della integrazione delle competenze. Con l’Università che funge da spillover per rilanciare il territorio, che a sua volta fornisce capitale umano e sociale.
Tutte queste cose, che lo aspettano al varco, il neo-Ministro Manfredi le conosce comunque assai meglio di me. Come dimostra, più di ogni discorso, quella splendida realizzazione da lui voluta e realizzata che è il modello San Giovanni. Academy e laboratorio, centro di innovazione e sperimentazione, che opera per scelta in una zona difficile che «rischia» così di diventare da luogo derelitto deposito di intelligenza. Per non dire del fatto che il Rettore Manfredi è stato capace di fare investire Apple a Napoli e non a Milano, creando nuove speranze per il Mezzogiorno tutto. I migliori auguri quindi sicuri che questo napoletano conterraneo di Giordano Bruno farà di questo incarico un’occasione di rilancio per la cultura e la ricerca.