Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La città «sgarrupata» in equilibrio su un uovo
Il dibattito sulla città si è trasformato in una corsa ad ostacoli – magari anche per colpa delle buche e degli alberi che vanno giù – alla ricerca dell’aggettivo che in maniera più convincente fotografi il degrado nel quale Napoli trascina la sua giornata. Immaginiamo la reazione: siamo messi davvero male se abbiamo bisogno di aggrapparci ad un aggettivo, ma pensiamo che un approccio siffatto e insolito, possa essere più convincente.
Il dibattito sulla città si è trasformato in una corsa ad ostacoli – magari anche per colpa delle buche e degli alberi che vanno giù come birilli fradici per mancanza di manutenzione – alla ricerca dell’aggettivo che in maniera più convincente fotografi il degrado nel quale Napoli trascina la sua giornata. Immaginiamo la reazione: siamo messi davvero male se abbiamo bisogno di aggrapparci ad un aggettivo, ma pensiamo che un approccio siffatto e insolito, possa essere più convincente.
Proviamo. «Svilita» è il primo aggettivo che prendiamo in esame; il suo ingresso in scena risale a qualche mese addietro. Per alcuni osservatori, dunque, Napoli è una città «svilita». Cioè esausta, incapace di reagire. Che ne dite? Per noi l’approccio, pur corretto, è debole e non rende la portata del problema.
Il secondo aggettivo è «appilata». Pietro Treccagnoli, in un articolo per il Corriere del Mezzogiorno, scrisse che la città era bloccata da una serie di tappi che tengono compressi i problemi senza mai prenderli di petto. Cioè «appilata». C’è tutto: la mancanza di una classe di governo adeguata, il dissesto naturale e quello ambientale, l’impossibilità di definirsi città impegnata in un rilancio turistico senza disporre dei servizi adeguati. I tappi, insomma, soffocano anche le scelte giuste.
Le due definizioni, intendiamoci, sono giuste, ma la seconda ha più voce della prima. Le adottiamo, quindi, ma, a nostro avviso, bisogna essere più incisivi e, allora, ecco il terzo aggettivo: «sgarrupata». Napoli è una città sfarinata, incapace di rialzare la testa. Sfinita. Che si può riprendere solo se si sottopone ad una terapia d’urto alla quale oltre i medici naturali – la classe che governa – devono partecipare i pazienti – cioè i cittadini – che, invece, sembrano votati alla rassegnazione. E i critici diventati eccessivamente pantofolai.
A queste considerazioni siamo venuti leggendo, anzi rileggendo, l’Uovo di Virgilio di Vittorio Del Tufo e Sergio Siano e i commenti che ne sono scaturiti. Per farla breve, al cronista che per ragioni anagrafiche ha consumato più suole rispetto a quelle messe fuori uso dai due colleghi che conoscono le regole del «fare cronaca» è venuta voglia di utilizzare la capacità di rileggere gli accadimenti del passato riferendoli all’attualità. (Del Tufo è bravissimo in questo esercizio e Sergio Siano sa cogliere, come papà Mario, l’attimo fuggente). Osserviamo la città con la lente di ingrandimento dei tre aggettivi. Un dato li accomuna: Napoli è, ormai, una città che «perde» anche quando dà l’impressione di vincere e di rialzarsi. Il boom turistico nel quale siamo immersi aiuta a capire dove vogliamo arrivare: il successo è indubitabile, chi potrebbe negarlo, ma emergendo dalla immersione nella casbah del decumano e trattenendo il respiro mentre attraversiamo i cumuli di rifiuti immortalati dai turisti, è lecito dare ragione a quanti, come noi, ritengono che si tratti di un boom drogato perché la città non è attrezzata per reggerne il peso e, quindi, potrebbe fare più male del bene che mette in circolo (le false illusioni, un nemico antico mai sconfitto).
Nella leggenda dell’uovo nascosto chi sa dove nelle profondità di Castel dell’Ovo, anche il sommo Virgilio, d’altronde, aveva previsto che sarebbe andata come è andata: Napoli resta miracolosamente in equilibrio, ma ancora un altro passo falso e il collasso sarà inevitabile. E la leggenda diventerà realtà.
Aggettivi Alle due definizioni usate nei giorni scorsi si aggiunge quella più adatta