Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Un rimpianto dietro il bicchiere
La bottiglia splende nella penombra, come tutte le cose sacre e intatte. Risplende e chiama con la musica della sua luce azzurrina. L’uomo l’aveva adocchiata già da stanotte, in sogno. Per fortuna è solo, quindi può avvicinarsi al tavolo nella realtà della penombra invernale. Nessun senso di disturbo, solo un’accelerazione dei battiti come quando, da bambino, compiva atti vergognosi.
Da giorni all’uomo sembra di avere trecento anni, un sacco con tre secoli sulle spalle. Per fortuna la bottiglia lo aspetta. Come se l’è procurato quel liquore e quando? Il come è facile a dirsi: pagando, come si fa con tutto. Tutto ha un prezzo e un costo proporzionale. Il quando non lo ricorda e, francamente, non gli importa. Una cosa è certa ed essenziale: dev’essersi trattato di un’ispirazione divina o luciferina (le due facce della stessa medaglia, le due facce di quella donna troppo lontana e troppo presente). Ora all’uomo è preso un impercettibile tremito alle mani, la visione della bottiglia azzurrata sembra vibrare.
Un’associazione gli sfreccia in testa: come da bambino davanti al proibito. Quelle riviste scandinave o americane, quella carta stropicciata, quelle foto dai colori saturi, senza sfumature. Come arrivavano in Italia? Sapevano di contrabbando, di passamano clandestini, di illegalità. Quelle pubblicazioni le portava in classe un ripetente; poi venivano sfogliate e impiastricciate nei bagni, nell’odore di latrina che gli è rimasto conficcato nelle narici, come due tamponi non rimovibili. L’uomo non riesce a ricordare compiutamente — tranne un’acne viziosa — i tratti di quel ragazzo più grande, uno dei tanti Lucignoli nella sua vita. Napoli allora era una città penetrata fino in fondo dal suo porto, da centinaia di marinai americani. Fiorivano traffici: valuta, sesso, oggetti; forse quel materiale pornografico proveniva da lì. L’uomo
finalmente si siede. Può crogiolarsi nel gusto del proibito, del dannoso a se stessi, del riprovevole. La bottiglia infatti è lì, a portata di mano. Come le immagini delle riviste strappate di mano e ai bordi, negli orinatoi della scuola. Lui era un tredicenne figlio di famiglia, gli difettavano le categorie per inquadrarli quegli avvinghiamenti fra più corpi. Forse è allora che si è guastato. Forse la regina Vittoria aveva ragione a predicare la continenza: la civiltà e l’Impero avevano bisogno di uomini forti, dunque di uomini casti. La regina Vittoria che lo scruta severa, anche lei a portata di mano. Il suo ritrattino fotografico, virato in azzurro, è incastonato nell’etichetta della bottiglia di gin. La corona imperiale, le sembianze della regina incorniciate da pietre preziose: zaffiri, sapphire. Il vetro della bottiglia è colorato, emana luce propria come un idolo.
È l’estasi delle forme perfettamente compiute che l’uomo ha sempre avuto ritegno nel manomettere (avendo sempre provato la tentazione di sfregiarle). Lo zaffiro di Bombay, questo recita l’etichetta in inglese. L’uomo passa a dissigillare il tappo, inizia a svitarlo, il piacere di violare qualcosa di bello. Lo zaffiro di Bombay: che titolo per un romanzo di Salgari... Lui divorava Salgari da ragazzino. Libri di avventure nell’Estremo Oriente, fra India e Malesia, il più possibile lontano da casa propria. Libri casti dalle copertine immaginose, luccicanti come il bicchierino si è riempito da solo, fino a tre quarti. L’uomo non ricorda di averla inclinata, la bottiglia. Un liquido dai riflessi duri, aggressivi. Se lo accosta alle narici: una sensazione di aromi trattenuti, che si scioglieranno solo nel palato. Il primo sorso, eccessivo. Un fuoco liquido giù per la gola, l’evaporazione aromatica su per il naso. Adesso l’uomo – inarcando la testa, ad occhi chiusi - può abbandonarsi a lei. Si beve sempre, in un modo o nell’altro, per una donna. Per quella donna tutta occhi. Occhi che cantano come Carmen. O mandano lampi oppure maledizioni. La vera maledizione, però, stava nel suo modo di sorridere. Una continua insinuazione erotica, rivolta a tutti e a ciascuno. Riempire e mandare giù il secondo bicchierino, adesso! L’uomo ci sta prendendo gusto. È un vizio, semplicemente un vizio, insistere col pensiero su quella donna. Non la tocca, non la vede da mesi. Il loro legame sembra labile come un filamento, eppure l’uomo non si decide a guarire. Sa del Capodanno di lei altrove, in mezzo a gente festaiola, a forzati del divertimento e delle bottiglie di champagne decapitate. Cin! E scola il terzo bicchierino di fila che, stavolta, lo lascia a bocca aperta, con la mascella pendula. L’uomo spera che lei non abbia indossato, il 31, proprio quegli orecchini: il suo ultimi regalo-ricordo. Due pendenti di giada opalescente – perché lei si chiama così. Giada intagliata a mano, montata nell’oro e nel corallo, le sue labbra color corallo, al naturale... Ora la piena alcolica del gin è salita, dopo gola e narici, al cervello. Una vampa ed è come se tra i fumi la vedesse, Giada. Questa scena intollerabile: lei che pinneggia nella piscina colorata di una spa, sulla punta di un finisterre salentino. Ora i piedi di lei, scalzi, sgocciolano sulle venature di questo pavimento in tek che guida alle camere. Le gocce d’acqua, i suoi piedi laccati, il passo già spensierato di chi sorregge una bottiglia. Perché la porta della stanza è aperta? Una matrimoniale illuminata, per il momento Giada sembra sola. Depone la bottiglia sul comodino, dopo essersi slacciata l’accappatoio che si affloscia ai suoi piedi. Porta degli orecchini, per fortuna non sono quelli. Giada li stacca dai lobi, con un tintinnio scivolano sul comodino dove campeggia la bottiglia. Champagne, forse. L’uomo cerca di mettere a fuoco la propria allucinazione. Si ritrova – a un palmo dal naso – l’etichetta del suo gin. Dentro il liquido ora riprendono forma e galleggiano quelle antiche scene bestiali, le proto-riviste porno dei tredici anni. Con mischiate dentro, al centro, le fattezze involgarite di Giada. Perché è così ingiusto con lei? A lei il sesso interessa come più o meno a tutti. È la seduzione il punto debole di quella donna, il suo tentativo di compensazione, di avanzare nel mondo con le insicurezza che le tagliano le gambe, ad ogni passo. Di colpo l’uomo ha scagliato qualcosa contro la parete. La visione svanisce mentre il bicchierino continua a rotolare e sversare per terra. Senza rompersi. Infrangibile come loro due.
Ora la piena alcolica del gin è salita, dopo gola e narici, al cervello Una vampa ed è come se tra i fumi la vedesse, Giada Le gocce d’acqua, i suoi piedi laccati