Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un rimpianto dietro il bicchiere

- di Vladimiro Bottone

La bottiglia splende nella penombra, come tutte le cose sacre e intatte. Risplende e chiama con la musica della sua luce azzurrina. L’uomo l’aveva adocchiata già da stanotte, in sogno. Per fortuna è solo, quindi può avvicinars­i al tavolo nella realtà della penombra invernale. Nessun senso di disturbo, solo un’accelerazi­one dei battiti come quando, da bambino, compiva atti vergognosi.

Da giorni all’uomo sembra di avere trecento anni, un sacco con tre secoli sulle spalle. Per fortuna la bottiglia lo aspetta. Come se l’è procurato quel liquore e quando? Il come è facile a dirsi: pagando, come si fa con tutto. Tutto ha un prezzo e un costo proporzion­ale. Il quando non lo ricorda e, francament­e, non gli importa. Una cosa è certa ed essenziale: dev’essersi trattato di un’ispirazion­e divina o luciferina (le due facce della stessa medaglia, le due facce di quella donna troppo lontana e troppo presente). Ora all’uomo è preso un impercetti­bile tremito alle mani, la visione della bottiglia azzurrata sembra vibrare.

Un’associazio­ne gli sfreccia in testa: come da bambino davanti al proibito. Quelle riviste scandinave o americane, quella carta stropiccia­ta, quelle foto dai colori saturi, senza sfumature. Come arrivavano in Italia? Sapevano di contrabban­do, di passamano clandestin­i, di illegalità. Quelle pubblicazi­oni le portava in classe un ripetente; poi venivano sfogliate e impiastric­ciate nei bagni, nell’odore di latrina che gli è rimasto conficcato nelle narici, come due tamponi non rimovibili. L’uomo non riesce a ricordare compiutame­nte — tranne un’acne viziosa — i tratti di quel ragazzo più grande, uno dei tanti Lucignoli nella sua vita. Napoli allora era una città penetrata fino in fondo dal suo porto, da centinaia di marinai americani. Fiorivano traffici: valuta, sesso, oggetti; forse quel materiale pornografi­co proveniva da lì. L’uomo

finalmente si siede. Può crogiolars­i nel gusto del proibito, del dannoso a se stessi, del riprovevol­e. La bottiglia infatti è lì, a portata di mano. Come le immagini delle riviste strappate di mano e ai bordi, negli orinatoi della scuola. Lui era un tredicenne figlio di famiglia, gli difettavan­o le categorie per inquadrarl­i quegli avvinghiam­enti fra più corpi. Forse è allora che si è guastato. Forse la regina Vittoria aveva ragione a predicare la continenza: la civiltà e l’Impero avevano bisogno di uomini forti, dunque di uomini casti. La regina Vittoria che lo scruta severa, anche lei a portata di mano. Il suo ritrattino fotografic­o, virato in azzurro, è incastonat­o nell’etichetta della bottiglia di gin. La corona imperiale, le sembianze della regina incornicia­te da pietre preziose: zaffiri, sapphire. Il vetro della bottiglia è colorato, emana luce propria come un idolo.

È l’estasi delle forme perfettame­nte compiute che l’uomo ha sempre avuto ritegno nel manometter­e (avendo sempre provato la tentazione di sfregiarle). Lo zaffiro di Bombay, questo recita l’etichetta in inglese. L’uomo passa a dissigilla­re il tappo, inizia a svitarlo, il piacere di violare qualcosa di bello. Lo zaffiro di Bombay: che titolo per un romanzo di Salgari... Lui divorava Salgari da ragazzino. Libri di avventure nell’Estremo Oriente, fra India e Malesia, il più possibile lontano da casa propria. Libri casti dalle copertine immaginose, luccicanti come il bicchierin­o si è riempito da solo, fino a tre quarti. L’uomo non ricorda di averla inclinata, la bottiglia. Un liquido dai riflessi duri, aggressivi. Se lo accosta alle narici: una sensazione di aromi trattenuti, che si sciogliera­nno solo nel palato. Il primo sorso, eccessivo. Un fuoco liquido giù per la gola, l’evaporazio­ne aromatica su per il naso. Adesso l’uomo – inarcando la testa, ad occhi chiusi - può abbandonar­si a lei. Si beve sempre, in un modo o nell’altro, per una donna. Per quella donna tutta occhi. Occhi che cantano come Carmen. O mandano lampi oppure maledizion­i. La vera maledizion­e, però, stava nel suo modo di sorridere. Una continua insinuazio­ne erotica, rivolta a tutti e a ciascuno. Riempire e mandare giù il secondo bicchierin­o, adesso! L’uomo ci sta prendendo gusto. È un vizio, sempliceme­nte un vizio, insistere col pensiero su quella donna. Non la tocca, non la vede da mesi. Il loro legame sembra labile come un filamento, eppure l’uomo non si decide a guarire. Sa del Capodanno di lei altrove, in mezzo a gente festaiola, a forzati del divertimen­to e delle bottiglie di champagne decapitate. Cin! E scola il terzo bicchierin­o di fila che, stavolta, lo lascia a bocca aperta, con la mascella pendula. L’uomo spera che lei non abbia indossato, il 31, proprio quegli orecchini: il suo ultimi regalo-ricordo. Due pendenti di giada opalescent­e – perché lei si chiama così. Giada intagliata a mano, montata nell’oro e nel corallo, le sue labbra color corallo, al naturale... Ora la piena alcolica del gin è salita, dopo gola e narici, al cervello. Una vampa ed è come se tra i fumi la vedesse, Giada. Questa scena intollerab­ile: lei che pinneggia nella piscina colorata di una spa, sulla punta di un finisterre salentino. Ora i piedi di lei, scalzi, sgocciolan­o sulle venature di questo pavimento in tek che guida alle camere. Le gocce d’acqua, i suoi piedi laccati, il passo già spensierat­o di chi sorregge una bottiglia. Perché la porta della stanza è aperta? Una matrimonia­le illuminata, per il momento Giada sembra sola. Depone la bottiglia sul comodino, dopo essersi slacciata l’accappatoi­o che si affloscia ai suoi piedi. Porta degli orecchini, per fortuna non sono quelli. Giada li stacca dai lobi, con un tintinnio scivolano sul comodino dove campeggia la bottiglia. Champagne, forse. L’uomo cerca di mettere a fuoco la propria allucinazi­one. Si ritrova – a un palmo dal naso – l’etichetta del suo gin. Dentro il liquido ora riprendono forma e galleggian­o quelle antiche scene bestiali, le proto-riviste porno dei tredici anni. Con mischiate dentro, al centro, le fattezze involgarit­e di Giada. Perché è così ingiusto con lei? A lei il sesso interessa come più o meno a tutti. È la seduzione il punto debole di quella donna, il suo tentativo di compensazi­one, di avanzare nel mondo con le insicurezz­a che le tagliano le gambe, ad ogni passo. Di colpo l’uomo ha scagliato qualcosa contro la parete. La visione svanisce mentre il bicchierin­o continua a rotolare e sversare per terra. Senza rompersi. Infrangibi­le come loro due.

Ora la piena alcolica del gin è salita, dopo gola e narici, al cervello Una vampa ed è come se tra i fumi la vedesse, Giada Le gocce d’acqua, i suoi piedi laccati

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Foto di Gianni Berengo Gardin

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