Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Caro Maestro, resti in città Ora diriga il San Carlo
Lettera aperta: lei ha ragione Città allo stremo, serve l’esempio dei migliori
Carissimo Maestro, ho letto con grande interesse le Sue parole nella bella intervista che ha rilasciato a Il Mattino; parole che mi hanno davvero confortato, anche perché assolutamente coerenti con quello che ha più volte dichiarato in merito a questa città.
Raramente mi capita di essere così concorde. Avrei potuto sottoscrivere quelle risposte, parola per parola: e sono molto fiero di questo perché Lei, Maestro, costituisce un immenso vanto per chi opera in ambito culturale e viene da questo luogo.
Napoli vive un momento davvero strano, Maestro. Al solito degrado corrisponde un momento di fecondità creativa di indiscutibile entità, e questo comporta un effetto di straniamento che fa pensare a una specie di schizofrenia collettiva che, in regime di villaggio globale, è difficile reperire altrove. Da un lato ci sono ampie fasce del territorio che non sono sotto il controllo dello Stato, anche nel centro storico, e dall’altro non ci sono mai stati tanti turisti che girano incantati per le strade; da un lato il tasso di dispersione scolastica ha superato un terzo dei ragazzi, dall’altro il comparto museale non è stato mai di così elevato livello; da un lato i servizi manifestano la loro endemica, grave inefficienza e dall’altro l’offerta enogastronomica e l’accoglienza ampliano e moltiplicano in maniera sfrenata la propria ricettività. È davvero impossibile comprendere, in questo momento storico, il reale stato della città e riferirne con precisione.
Quello che è perfettamente comprensibile è che, essendo napoletano e partecipe della grande occasione perduta che questa città, vista da fuori, costituisce, la tristezza e lo sconforto prendano il sopravvento. È successo, Maestro, che finalmente è chiaro che la cultura, la bellezza e la storia di questo posto sedimentario e complesso, articolato e complicato sono l’unica vera chance di sopravvivenza. I tentativi di far passare lo sviluppo attraverso l’industria, la trasformazione, il commercio hanno fatto registrare penosi fallimenti; è come se a un certo punto, sull’orlo della disperazione, ci fossimo guardati attorno e avessimo capito che quello che avevamo, e che colpevolmente per decenni abbiamo trascurato e abbandonato, era in realtà l’unica vera risorsa da utilizzare.
Eppure, caro Maestro, non era del tutto vero. C’era un’altra, importantissima risorsa che abbiamo sprecato, che continuiamo a buttare via: e Lei lo ha lucidamente indicato nella Sua intervista. Abbiamo lasciato andare via, e continuiamo purtroppo a farlo, i nostri migliori geni creativi. Nessuna città, nessuna regione come questa è riuscita a perdere immense professionalità arricchendo e migliorando altri territori. Questa risorsa, contrariamente alle altre che oggi costituiscono la base di una nuova economia che ha tanti risvolti (non tutti positivi, anzi), non si accenna a voler recuperare.
È questo l’unico appannamento nel sorriso che la Sua intervista lascia a chi, come il sottoscritto, è fierissimo di Lei e del lustro che porta indirettamente alla nostra città.
Per la voglia di raccontare storie ambientate negli anni Trenta del secolo scorso, mi è capitato di studiare la città in quel tempo. Mi ha emozionato tanto immaginare che contemporaneamente, ai tavolini degli stessi caffè e negli stessi negozi di cappelli e guanti, nella platea degli stessi teatri e nei palchi del Suo (Suo, sì: perché Le appartiene, e non potrà sfuggirgli a lungo) San Carlo, si incontravano, si salutavano e chiacchieravano tra loro personaggi che hanno cambiato la storia della cultura di questo paese. Salvatore Di Giacomo e Matilde Serao, Raffaele Viviani e Libero Bovio, Ferdinando Russo e i tre de Filippo; e straordinari musicisti come Pilati, Longo, E. A. Mario, Cilea calcavano le stesse vie, si incantavano di fronte allo stesso panorama. E in napoletano parlavano e scrivevano e suonavano, ritrovando le stesse note e gli stessi sentimenti l’uno nella produzione dell’altro.
Ci pensa, Maestro, come sarebbe bello se tutti quelli che hanno Napoli nel cuore decidessero di tornare qui, per usare l’arte come arma contro il degrado, la fuga, il malessere, il disagio? E se fosse proprio Lei il primo a farlo assumendo, casomai, la direzione musicale del San Carlo e diventando così l’emblema di una città che, grazie al rientro dei suoi figli più illustri, conquisterebbe nuovamente il rango che le spetta nella produzione artistica mondiale? Immagina che risonanza avrebbe un simile gesto nelle coscienze dei napoletani, quale esempio sarebbe per i giovani di talento costretti a emigrare?
Lei andrà a Nisida, e guarderà negli occhi quei ragazzi. Ne sentirà il dolore, leggerà che si sentono predestinati. Non le viene voglia di aiutarli a capire che il destino non esiste, che si può riuscire a esprimere talento e avere successo anche a queste latitudini, impugnando una bacchetta e non un coltello?
Senza contare, per tutti noi, l’incanto di poterLa incontrare magari al nostro Gambrinus; e offrirLe un caffè e una sfogliatella, in cambio di un sorriso.