Corriere del Mezzogiorno (Campania)
D’Alessandro, fu testimone del pacchero del Papa
Da una settimana esatta Carmine D’Alessandro non è più con noi. E senza di lui, la trattoria ‘e Curti di Sant’Anastasia non sarà fatalmente più la stessa. Restano sua moglie Angelina, regina in cucina, i figli Enzo e Sofia, il genero Roberto. Tutti insostituibili. Ma di don Carmine mancherà la bonomia che nascondeva dietro la scorza appena un po’ burbera. Ci mancheranno l’intelligenza acuta, l’arguzia, il suo portamento da gentiluomo antico. Ci piace ricordarlo con un episodio che raccontava alle persone che riteneva meritevoli di una confidenza così delicata. Inventore del celebre nucillo, don Carmine si diede da fare per farlo arrivare in alto. Attraverso i buoni uffici di un prelato, riuscì a inviarlo in Vaticano. Un giorno, con la sua inseparabile Angelina, ottenne di essere ricevuto in udienza privata da papa Wojtyla. Era estate e il pontefice soggiornava a Castel Gandolfo. Dopo averli accolti, Giovanni Paolo II si incamminò nei giardini del palazzo seguito da alcuni giovani sacerdoti. A un certo punto, uno di questi gli si avvicinò per consegnargli un biglietto che il papa, già provato dalle malattie, prese con mano tremolante. Camminando, iniziò a leggerlo. Dopo poco, diede l’impressione di aver ultimato la lettura. Allora, il giovane religioso allungò la mano per riprendere il foglietto. Ma Wojtyla con un gesto repentino assestò al collaboratore un pacchero sulla mano. L’episodio lasciò il segno nell’immaginazione di don Carmine. Al punto che quando si avvicinò per inginocchiarsi e baciargli la mano, guardò il pontefice con impaurita circospezione. Così, timoroso e indifeso, è ritratto in una foto conservata nel locale. Qualche domenica fa decisi con alcuni amici di andare a pranzo a ‘e Curti. Non trovammo posto. Mi avrebbe divertito sapere cosa pensasse dello schiaffetto di Francesco alla fedele in piazza San Pietro. Naturalmente, non sarà l’unico rimpianto che porterò dentro. (g. c.)