Corriere del Mezzogiorno (Campania)
PIANTIAMO IL SEME DEL DUBBIO
Avolte ci sono storie, piccole storie, che inciampano nella Storia senza volerlo. Quella che abbiamo raccontato negli ultimi giorni è una di queste. Parliamo della candidatura di Sandro Ruotolo alle elezioni suppletive per il Senato che, il 23 febbraio, si terranno nel maxi-collegio che comprende Vomero, Arenella e molti quartieri di periferia. La scelta del famoso giornalista televisivo è il frutto di un accordo fra il Pd e Dema cui hanno aderito anche le altre forze del centrosinistra, compresi i renziani di Italia Viva. Come è noto, quest’indicazione ha spinto lo storico Paolo Macry e il filosofo Biagio de Giovanni a scrivere un appello contro l’inedita alleanza tra Democratici e de Magistris, emblema – a loro avviso – di una svolta giustizialista che confligge con la tradizione riformista e liberale: non è possibile – affermano in sostanza i due intellettuali nel documento sottoscritto, poi, da oltre 400 cittadini – schierarsi a fianco di un sindaco che, nei nove anni del suo mandato, ha reso la città invivibile e da tempo rappresenta un simbolo di quel «partito mediaticogiudiziario» verso cui sembrano convergere Zingaretti e compagni. Il Corriere del Mezzogiorno ha dato spazio sulle sue pagine, in modo equilibrato, alle opinioni provenienti dagli opposti schieramenti e ospitato sul sito un dibattito in streaming tra i principali protagonisti della discussione, così da fornire ai lettori (e agli elettori) tutti gli strumenti necessari per formarsi un’opinione propria.
Ovviamente, come purtroppo sempre più spesso accade, nessuno degli attori in scena si è fatto scalfire dal dubbio. Anzi, paradossalmente, con il passare dei giorni la contesa si è radicalizzata nei toni e nelle argomentazioni, in particolare sulle pagine dei social dove tutto si può fare tranne che ragionare pacatamente.
Diciamo la verità: non è stato uno spettacolo gradevole vedere l’agognata «tradizione riformista e liberale» ridotta a oggetto di tifo su quella Curva B del pensiero che oggi è Facebook . Si poteva fare di meglio e di più accettando il faccia a faccia on line invece che trincerarsi dietro motivazioni macchinose. Ma è andata così e serve a poco guardare indietro. Anche perché, come scrivevo all’inizio, siamo dinanzi a una piccola storia. Che però, malgrado i suoi stessi intenti, inciampa nella Storia. Ci siamo accorti, infatti,
che sul fondo di questa vicenda si nasconde il secolare confronto tra idealismo e realpolitik?
Sia chiaro, nessuno vuole accostare Bismarck e Cavour a Sandro Ruotolo (manca soltanto questo…) ma, facendo la giusta tara, ci ritroviamo di fronte alla solita domanda: è legittimo inseguire una vittoria politica necessaria (e questa per il centrosinistra senza dubbio lo è, considerata la risicata maggioranza in Senato) abdicando a qualche principio? Oppure bisogna sacrificare un possibile successo sull’altare della sacra coerenza? Ebbene, se cercate una risposta, fermatevi qui. Non ho certezze da dispensare. Al massimo, posso offrire qualche dubbio. Lo so, è roba fuori moda. Tuttavia ci provo, sperando che sia utile a entrambe le parti per riannodare il filo del dialogo.
Cominciamo dal Pd napoletano, cui va dato atto che, dopo dieci anni di «nulla cosmico», è tornato al centro del dibattito politico con una scelta controversa quanto si vuole ma finalmente netta, chiara. E, come tale, divisiva. Proprio per questo, non sarebbe stato più opportuno spiegare meglio i motivi di una decisione oggettivamente contraddittoria? Concedere alla platea elettorale il tempo indispensabile a metabolizzare (o eventualmente rigettare) un’alleanza sicuramente indigesta? Se davvero i Democratici stanno ridefinendo il perimetro del loro «campo» – il «caso Ruotolo» è un primo passo di questo cammino – sbaglia chi disegna nuovi confini in modo tanto approssimativo. D’accordo, la politica non è una gara olimpica: vincere conta più che partecipare. Ma il prezzo da pagare al successo va concordato con l’intera squadra, mai imposto.
Per quanto riguarda, invece, promotori e firmatari dell’appello va sottolineata un’altra cosa: da tempo un gruppo così nutrito e qualificato di persone non faceva sentire la sua voce nello smorto dibattito cittadino. E questa è inequivocabilmente una buona notizia, anzi ottima. Ma valeva la pena inasprire il confronto affidandosi all’arena dei social e inalberando poi un offeso stupore di fronte alla prima critica? Non suona grottesco trattare come un imberbe fanciullo il giovane segretario del Pd, Marco Sarracino, dopo aver invocato perfino agli angoli di strada il rinnovamento della classe dirigente? Ed è plausibile l’invito all’astensione da parte di chi, giustamente, rivendica il ruolo di un civismo consapevole?
Certo, de Magistris è stato uno dei peggiori sindaci della Napoli repubblicana e questo giornale non gliene ha risparmiata una. Ma parliamo ormai di un dead man walking della politica che, tatticamente, serve oggi al centrosinistra per provare ad aggiudicarsi un seggio importante nei traballanti equilibri del Senato e che domani, molto probabilmente, scomparirà dalla scena lasciando in eredità soltanto i disastri compiuti. Non sarebbe stato consigliabile evitare di «scassare tutto» cedendo alle ragioni della realpolitik invece che a quelle di un idealismo talvolta quasi narcisistico? Preferisco infine tralasciare, per sinceri motivi di stile e affetto, qualunque considerazione sui luoghi in cui si è scelto – diluendo la coerenza - di affrontare il delicato (e sacrosanto) tema del giustizialismo mediatico: il contesto è ciò che rende più o meno credibile un ragionamento.
Insomma, i due schieramenti avrebbero fatto meglio a mettere nel conto qualche sottrazione piuttosto che affrettarsi a tirare le somme. Ma resta il fatto che dopo anni di letargo la città sembra essersi risvegliata. E questo lascia ben sperare chi, a sinistra come a destra, vuole cambiarne veramente la sorte. Adesso, però, arriva il compito più difficile: imparare di nuovo ad ascoltare gli altri. Abbandonando le galere ideologiche e le piccole corporazioni in cui siamo stati troppo a lungo imprigionati. Per tornare finalmente a coltivare l’essenza primaria di ogni convivenza: il dubbio.