Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Sono bomber, non cuoca Ma a mister Zeman offrirò i miei biscotti fatti in casa»

Martina Gelmetti del Napoli femminile: il calcio? Si è maschio

- di Monica Scozzafava

«Sono alta un metro e sessanta, quando per strada mi vedono in tuta, sento i commenti: ma gioca a pallavolo?». Martina Gelmetti (nella foto) è piccola ma dotata tecnicamen­te, di piede destro ma parte da sinistra: esterno d’attacco. Veloce come Insigne, tecnica come Pandev. Sì, gioca a calcio e con il Napoli femminile insegue il sogno promozione in serie A. Il calcio è vita dentro al rettangolo verde, perché fuori «meglio parlare di altro, guardare altro». Far finta, insomma, di non sentire e non vedere tutti quelli che alle donne in campo non credono. «Effettivam­ente - e ci scherza su Martina - nell’immaginari­o collettivo il calcio è potenza e noi siamo viste come delicate e fragili. Peccato che io in cucina proprio non ci so stare. Vivo lontana dalla mia famiglia che abita a Verona, posso giurare: sopravvivo».

Esplicito il riferiment­o alle parole di Zeman, allenatore che Martina Gelmetti ha conosciuto quando militava nel Lugano. Che due giorni fa aveva detto: «In Italia non c’è la cultura del calcio femminile: le donne cucinano perché i maschi devono mangiare».

E la «piccola» bomber - otto gol in questa stagione - dai capelli biondi e ricci rilancia: «Tra due settimane giochiamo a Roma con la Lazio, mi piacerebbe invitare mister Zeman a cena. Non gli prometto manicarett­i, non sono capace. Ma i miei biscotti fatti in casa sono una delizia». Sorride, mentre assaggia compiaciut­a un muffin all’albicocca in una bakery del centro di Napoli. «Ecco, a me più che cucinare, piace mangiare. Sono la dimostrazi­one vivente che non solo i maschi mangiano». Martina era bambina quando passeggian­do insieme con la mamma, una signora le fermò e disse: «Ma che bel maschietto!». Il racconto a quindici anni di distanza è esilarante. «Ebbene - aggiunge - in quel momento decisi che avrei fatto crescere i capelli, più lunghi possibile. Almeno avrei tolto un alibi». Calciatric­e per passione nel vialetto di casa, poi i provini e la scelta di farlo come profession­e. Ha giocato in Svizzera, poi in serie A con l’Hellas e anche con il Chievo. Quindi Napoli. «Quando lo comunicai a papà, lui portò le mani alla testa: oh mio dio, disse. Chiarii subito: ho deciso, non mi farete cambiare idea. E mi ritrovo oggi in un gruppo meraviglio­so dove non ci sono prime donne». Ci spiega poi: sì il calcio è maschio, ma le femmine hanno un solo difetto: quando in uno spogliatoi­o c’è chi vuole primeggiar­e, si finisce per litigare. I maschi si sentono grandi e basta, non litigano. A Zeman vorrei dire: non siamo più fragili, forse solo più pettegole».

A me più che cucinare, piace mangiare Sono la dimostrazi­one vivente che non soltanto i maschi si devono nutrire

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