Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quella gravitas degli artisti al Sud
La rabbia contraddistingue i meridionali, l’ironia i colleghi del nord. Le vibrazioni flegree nel teatro di Borrelli, l’enfasi dei Foja, i volti giudicanti di Jorit
Anastasio è salito sul palco dell’Ariston «rosso di rabbia», i Pinguini Tattici Nucleari no. E neanche gli Eugenio in Via Di Gioia, scanzonati in sé. C’è una ragione: il primo è sorrentino, meridionale; i secondi lombardi e piemontesi.
Il rapper di Meta attacca il pezzo «E voi volete sapere dei miei fantasmi/C’ho 21 anni posso ancora permettermi di incazzarmi». La band orobica dal nome delirante invece canta: «Tu eri Robin poi hai trovato me/ pensavi che fossi il tuo Batman ma ero solo il tuo Ted eh eh».
Il cantante e le due band divergono per modi e motivazioni e nulla c’entra che il Nord patisce meno problemi sociali o che il rap travasa più bile dell’indie rock. È una faccenda di gravitas che soprattutto in Campania caratterizza quasi tutti i giovani e meno giovani artisti. Non si sceglie, c’è: gravità nella musica (i tonici ma enfatici Foja) nel teatro (Mimmo Borrelli) nel cinema (De Angelis) nella street art (i giudicanti volti di Jorit). Sono figli di un contesto naturale materno quanto «flegreo», sulfureo, sempre uguale, purgatoriale, che li trattiene alla terra e gli vieta di trascendere. In Puglia la mancanza di vera leggerezza incide già molto meno (i colorati Boomdabash) e così in Sicilia (gli ottoni di Roy Paci) e in Calabria (Brunori Sas). In contrappunto a questo «peso» campano suona l’ilarità degli artisti oltre la linea Gotica. Che non è superficialità bensì un dispositivo creativo soffice, più facile al volo. Non c’è, ovvio, un meglio e un peggio.
È un approccio inestinguibile perché culturale. Quando via Gianturco tirava fuori i 99 Posse, Torino battezzava i Subsonica: trova le differenze. Per Lo Stato Sociale, emiliani, il bubbone del precariato si stempera nella «vecchia che balla». Maldestro di Scampia, premio «Mia Martini», descriveva a inizio carriera posti «dove lo Stato passa solo se c’è un morto». Il nolano Clementino portò a Sanremo la straziata «Ragazzi Fuori» nell’anno in cui Francesco Gabbani da Carrara, la Toscana più a Nord, vinceva ballando con la scimmia di Desmond Morris. Per buttarla in politica, è la distanza per cui la Bologna under 30 pesca le «leggere» ma salde Sardine e Napoli il battagliero ma un po’ vetero e impegnativo «Potere al Popolo».
Il test comparato prosegue: Mahmood e Ghali problematizzano la realtà del duro hinterland milanese ma il messaggio viene dolcificato da uno stile in cui l’estetica si mangia l’etica. Le loro canzoni arrivano all’ascoltatore seriamente leggere. Di contro, il misterioso partenopeo Liberato ispirato sin dal nome da Don Liberato Bovio appesantisce il suo cuore di quella pena d’amore così addolorata che da secoli a Napoli viene difesa come un bene comune. Liberato è in continua epistassi — «Nove ‘e maggio, me ‘e lassate/So’ rimasto sotto ‘a botta ‘mpressiunato’» – il milanese Gué Pequeno sa tamponare il sangue delle ferite a bordo di una Lamborghini. Il classe ’94 Rovazzi sforna i videoclip «Andiamo a comandare» e «Senza pensieri» laddove lo «Staje senza pensieri» dei boss che davvero vanno a comandare nella serie Gomorra ha tutt’altro significato.
Vige naturalmente un sottobosco di band nostrane distante dalla pesantezza-sostenibile di cui scriviamo. Ma resta sullo sfondo.
A livelli più alti, nel mainstream, il canone campano si rende evidente, e anche quando spinge divertimento lo fa attraverso l’ironia, lo sberleffo del «cinese con la tosse»; più a Nord si affidano alla semplice giocondità, che ha meno spessore ma è senza condizioni. Il Cristo Velato è lo specchio di tutto ciò: il velo del Sammartino pesa in realtà come il più grosso e sublime dei chiodi della Passione, impossibile da rendere per il veneto Canova, tormentato quanto vogliamo ma scultore di personaggi leggiadri nella follia del marmo. E all’amore in vincoli della canzone classica partenopea replica l’attimo elettrico di una spasimante che aveva per golfo i Navigli, Alda Merini. Ecco perché a Napoli la gravità continuerà a incollare al suolo la rossa rabbia degli Anastasio e gli spensierati Pinguini Tattici non coveranno mai le uova.