Corriere del Mezzogiorno (Campania)
A CHI GIOVA RIMANDARE IL PROBLEMA
«La tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equità intragenerazionale che intergenerazionale». Per questi motivi «di fronte all’impossibilità di risanare strutturalmente l’ente in disavanzo, la procedura del predissesto non può essere procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato così da consentire ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose eredità».
Vuol dire, molto semplicemente, che non si può amministrare un comune accumulando deficit e debiti sulle spalle delle generazioni future, perché così si elude la responsabilità politica intrinseca al mandato rappresentativo e, soprattutto, si condannano i figli a pagare i debiti dei padri.Con queste motivazioni la Corte costituzionale aveva annullato lo scorso anno la legge che consentiva di dilazionare in trent’anni il rientro dal deficit dei comuni in predissesto.
Pochi giorni fa, con la sentenza n. 4 del 2020, la Corte ha annullato le norme che consentivano ai Comuni di utilizzare le anticipazioni di liquidità, concesse per ripianare i debiti, per coprire la spesa corrente.
Si tratta, in entrambi i casi, di norme che sono servite al Comune di Napoli a prendere tempo rispetto alla formalizzazione di un dissesto che è acclarato da anni. La Corte dei conti lo ha dichiarato già nel marzo del 2018, ma continua a tenere in vita un percorso giudiziario che produce il solo effetto di mantenere Napoli e i napoletani in uno stato di sospensione sine die. Ormai siamo agli sgoccioli: il giudizio dinanzi alla Sezioni riunite della Corte dei conti verrà riassunto e i giudici contabili non potranno che prendere atto definitivamente del default del Comune. Ci vorrà qualche mese, perché il codice di procedura offre alla giunta arancione ancora qualche spazio per perdere tempo, ma l’esito è scontato, a meno che non intervenga una legge nel frattempo. Il Sindaco e i suoi dispensano serenità perché dicono che è in corso una trattativa politica con il Governo per una legge che risolva il problema. Purtroppo però, né il Sindaco né il Governo, del quale pure fanno parte alcuni ministri napoletani, sentono il bisogno di spiegare ai cittadini della terza città d’Italia quali sarebbero queste soluzioni politiche che li risolleverebbero dall’abisso finanziario in cui sono stati cacciati da una gestione dissennata. Non tutte le leggi sarebbero utili e benvenute. Se l’opzione sul tavolo fosse una soluzione strutturale, una legge salva-Napoli che ripianasse i debiti del Comune, non si potrebbe che salutarla con favore, ma se invece, come sembra stia avvenendo con la conversione del decreto Milleproroghe, si vuole approvare l’ennesima norma per consentire un po’ di maquillage al bilancio e rinviare ancora la dichiarazione di dissesto, questa non è una soluzione utile per la città: meglio di gran lunga il dissesto del protrarsi dell’agonia.
Il dissesto blocca la spesa e, quindi, va evitato a ogni costo, dicono i benpensanti. Vero, ma la spesa è bloccata comunque e il dissesto apre almeno un processo di risanamento. Viceversa, se il testo di legge in discussione è quello che circola in queste ore, questo serve solo a prendere tempo, oltre a essere in contrasto con due precedenti giudicati della Corte costituzionale. Si deciderebbe scientemente di approvare per la terza volta disposizioni incostituzionali, pur di non prendere atto formalmente di una situazione nella sostanza largamente nota da anni. In questo modo si aggraverebbe la situazione, danneggiando ulteriormente i cittadini già martoriati dall’assenza di risorse, e si violerebbe il principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato, andando platealmente contro il dictum del Giudice costituzionale.
Meglio dunque una scelta politica coraggiosa e netta tra un salvataggio vero e il dissesto. Napoli deve uscire dalla trappola di un procedimento giudiziario tenuto in vita artificialmente sulla pelle dei cittadini.