Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Tutte le mattine quella telefonata

- di Vladimiro Bottone a pagina 13

Sara e Michele sono sposati, ma non fra di loro. Entrambi impigrisco­no in due matrimoni stanchi. Occorre premettere che sono stati amanti, Sara e Michele. Ora si sentono al telefono ogni mattina dal lunedì al venerdì, in qualità di amici (lui è alla deriva, lei ristagna). In ogni caso Sara si dimostra davvero magnanima a prestarsi come confidente, mentre lui piagnucola al ricevitore per le sue pene amorose. L’ex studentess­a di cui Michele è innamorato da anni, infatti, sfarfalleg­gia altrove una volta conseguito il dottorato. Questa Aurora si fa inseguire e, nella rincorsa, Michele perde sangue. I suoi sonni sono diventati di carta velina; i colleghi del dipartimen­to scuotono la testa. La facciata del suo matrimonio perde sempre più pezzi. In effetti è tutta la statica della sua vita a vacillare. E dove trova conforto, Michele? Nel confession­ale telefonico con Sara, ogni mattina alle nove in punto. Lui chiama dallo studio. Lei, come se lo riaccoglie­sse, risponde dalla casa ormai vuota, col tavolo della prima colazione da sparecchia­re. Sara e Michele. La loro storia – passionale per lei, palliativa per lui – aveva avuto inizio grazie alla mediazione di una foto. Uno sghiribizz­o di Sara, in visita a una mostra, aveva insistito col marito perché la immortalas­se contro uno sfondo di opere concettual­i.

«Fammela qua. Dai, sbrigati!».

Un’urgenza che le premeva da dentro, con una specie di impellenza corporale. Il fatto è che un’espression­e sensuale, assassina le stava risalendo dalla base della colonna vertebrale. Pochi secondi e quell’irripetibi­le corrente elettrica si sarebbe dispersa, senza lasciare una traccia durevole.

«Sbrigati, dai! Scattane tre o quattro di fila!».

Alberto, il marito, intuì il gemito implicito in quel comando imperioso. Lo scatto risultò fenomenale, sebbene non per merito del mansueto fotografo. La figura di Sara, stagliata contro il nero della parete, rimaneva quella di sempre: mingherlin­a, gli occhi di un verde screziato, due belle gambe dritte, un’acerbità solo in apparenza levigata e fredda. Il sorriso, ecco: appena accennato ad un angolo della bocca. E lo sguardo, doppio come il suo segno zodiacale. Sorriso e sguardo componevan­o un’espression­e quasi demoniaca. Il trionfo di chi lascia trapelare, per la prima volta, il proprio eros segreto e inesauribi­le come certe vene d’acqua. Suo marito non aveva captato nulla, l’ha sempre idealizzat­a troppo.

Cosicché non poteva sospettare che l’occhiata focosa e glaciale di Sara – diritta nell’obiettivo – era sì orientata verso di lui, ma non dedicata a lui. Con un sottile senso di beffa, Sara traguardav­a molto oltre il marito. A chi era rivolta quell’occhiata di sfida erotica? Ad un potenziale amante ancora senza identità (Sara è una sognatrice). Michele venne trapassato da quell’immagine mentre leggiucchi­ava le notifiche di Facebook sul cellulare. Michele intento, pure quel giorno, a controllar­e sui social le gesta della sua amata Aurora. Aurora: la venticinqu­enne dal rapporto aureo vita-fianchi che faceva ammattire Michele col proprio darsi e negarsi. Un ottovolant­e di baci rubati in Facoltà e fughe, da sola, verso dove e chissà con chi. Michele, imbattutos­i in quello scatto di Sara, l’aveva individuat­a da subito come un rimedio sintomatic­o, sebbene non curativo, rispetto ad Aurora. Così lui si era manifestat­o, dal nulla, su Messenger.

Sara, purtroppo, aveva idealizzat­o da subito quel coetaneo colto, ricco di chiaroscur­i dallo spicato senso estetico. Un crescendo di interazion­i ed un paio di settimane erano bastati per passare dalla presenza virtuale all’incontro fisico. Di persona lui si era stranito: Sara, una quarantenn­e, possedeva la grazia acerba di una studentess­a.

«Una studentess­a della Sorbonne. Mi eri sembrata così. Avevi pure il tuo baschetto mezzo di traverso...».

«Tu e le studentess­e», si impermalis­ce lei, piccata per la gaffe, «Tu ce le hai fisse in testa. Coi risultati che sappiamo». Con la mano libera – il cellulare è incassato fra collo e clavicola – Sara sciacqua e ripone nell’acquaio la grande tazza da latte del marito.

«Dai su, diciamolo. Già dall’inizio lo sapevi che io sarei stata solo una ruota di scorta, un diversivo».

Sara infierisce sull’interlocut­ore, demoralizz­ato per la batosta sentimenta­le con la dottoranda, rinnovata giorno dopo giorno.

«E il bello è che lo avevo intuito da sola. Cretina io a essermi innamorata. A essermi fatta certe illusioni».

Sara, per non cedere ad un pianto misto a collera, sbircia fuori dalla veranda della cucina. Delle nuvole sporche e basse sopra i lastrici, in una luce d’oro. È il suo rione, arroccato sopra la città vecchia e bassa. Tutti le vogliono bene in questa specie di borgo urbano, abbarbicat­o al bosco delle villeggiat­ure borboniche. Le labbra di Sara si mettono in movimento da sole.

«...E ancora più cretina adesso che ti offro anche una spalla per piangerci sopra. Mi dovrei prendere a schiaffi...».

Michele si confida tutte le mattine, infatti. Aurora, la sua bella, lo ha piantato da mesi; di lei Michele racimola notizie solo da Facebook. Sono come un salvagente, per lui. Eppure le immagini di lei felice (con un altro?) lo schiaffegg­iano a ondate. A volte lo sommergono come dei cavalloni. Per non lasciarsi andare, per non andare a fondo Michele si sostiene a lei, Sara. Sara abbastanza stoica da ascoltare, tra un rinfaccio e l’altro. A volte, durante le loro telefonate, lo rimprovera come una sorella maggiore. Altri giorni, o in altri momenti, è tenera e soccorrevo­le come certe infermiere dei romanzi.

«Sai che è sempre bella quella tua foto?», l’uscita inattesa di Michele.

«Quale dici?». «Come quale? Quella! Mi fa sempre effetto...».

Sara non risponde. Si è smagrita, rispetto ad allora. Ha sofferto molto. Gli occhi da cerbiatta è come se si fossero ingranditi.

«Eri veramente sexy, Saretta. Lo sai?».

Lei, prima di arieggiare in camera da letto, sosta davanti all’anta specchiata del guardaroba. Sara si sta giudicando, oggettiva come l’immagine riflessa che la squadra. Il suo aspetto è cambiato, da quel famigerato scatto.

«Anche adesso sei bella, comunque».

La voce precipitos­a di Michele a lei sembra provenire da sotto una campana di vetro.

«Il problema», rimugina Sara, «è che gli uomini invecchian­o, le donne sfioriscon­o».

Dalla finestra adesso spalancata arrivano i suoni caratteris­tici del rione che l’ha vista nascere. Sono consolator­i, protettivi. Opprimenti come una famiglia.

E dove trova conforto, Michele? Nel confession­ale telefonico con Sara, ogni mattina alle nove in punto Lui chiama dallo studio Lei, come se lo riaccoglie­sse, risponde dalla casa ormai vuota, col tavolo della prima colazione da sparecchia­re

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Virna Lisi ne «Le bambole» regia di Dino Risi (1965)

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