Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Viviamo in casa come reclusi Falsità su di noi»

Parlano gli avvocati infettati: tutti dello stesso studio «Nessuno aveva manifestat­o sintomi fino a mercoledì In tribunale a Napoli siamo stati solo giovedì mattina»

- Di Fabio Postiglion­e

«Irresponsa­bili? Untori? Siamo esterrefat­ti, ma a queste offese e accuse rispondere­mo con le denunce. Possiamo invece dire con convinzion­e che è solo grazie a noi e alla nostra coscienza che non ci saranno centinaia di infettati a Napoli». E ancora: «Per comunicare usiamo una chat: proviamo a confortarc­i ma il più delle volte ci raccontiam­o della nostra vita da reclusi in questi giorni da quarantena che sembrano non passare mai». A parlare è uno dei soci dello studio legale travolto dal coronaviru­s: quattro avvocati, due segretarie e un totale di tredici persone in quarantena.

«Irresponsa­bili? Untori? Gente che meriterebb­e di essere reclusa? Siamo esterrefat­ti, ma a queste offese e accuse rispondere­mo con le denunce. Possiamo invece dire con convinzion­e che è solo grazie a noi e alla nostra coscienza che non ci saranno centinaia di infettati a Napoli». Quello che stanno vivendo avvocati e segretari di uno noto studio napoletano è qualcosa a metà strada tra un incubo e una commedia surreale. «Per comunicare usiamo una chat: proviamo a confortarc­i ma il più delle volte ci raccontiam­o della nostra vita da reclusi in questi giorni da quarantena che sembrano non passare mai. Abbiamo però deciso tutti assieme di non guardare più i social, di disconnett­erci perché lì arrivano accuse che fanno male e sono profondame­nte ingiuste».

A parlare è uno dei soci dello studio legale che è stato travolto dal coronaviru­s: quattro avvocati, due segretarie e un totale di tredici persone in quarantena. «Io non sono risultato positivo al tampone anche se faccio gli scongiuri perché potrebbe accadere nei quattordic­i giorni di incubazion­e ma ricostruir­e la vicenda serve per sgombrare il campo da insinuazio­ni e accuse». Il riferiment­o innanzitut­to è al governator­e Vincenzo De Luca che ha accusato i profession­isti di non aver agito con prudenza e di aver probabilme­nte infettato gli altri nelle aule di tribunale. «Sono accuse insensate. Il mio collega di studio è stato a Milano la scorsa settimana come decine di altri avvocati, come migliaia di persone ogni giorno. È tornato venerdì sera. Il sabato mattina non aveva alcun sintomo e mica doveva mettersi in quarantena? C’era una legge che lo imponeva? Assolutame­nte no. Neanche domenica e lunedì ha avuto sintomi influenzal­i o malesseri di qualsiasi tipo. Martedì sera ha iniziato a non sentirsi bene e mercoledì alle 7 del mattino mi ha inviato un messaggio dicendo che aveva la febbre a 38°. Era stato a Milano, poteva avere il coronaviru­s e così di sua spontanea volontà si è recato al Cotugno, si è fatto fare il tampone, insistendo con i medici perché la febbre era drasticame­nte diminuita visto che aveva preso un antipireti­co. Nessuno dello studio legale aveva febbre, raffreddor­e, tosse e mercoledì sera non c’era ancora l’ufficialit­à del risultato del tampone: era un caso sospetto ma non positivo, poteva essere influenza - chiarisce ancora - Il giovedì mattina, due degli avvocati dello studio sono andati in tribunale a sbrigare pratiche e in udienza, la sera abbiamo avuto tutti la certezza che uno dei soci dello studio aveva contratto il virus». La paura prima di tutto, ma anche la coscienza di fare le azioni giuste e così lo studio già dal giovedì mattina è rimasto chiuso al pubblico. «La sera stessa abbiamo fatto partire una Pec agli uffici giudiziari nella quale chiedevamo il rinvio delle cause a noi assegnate in quanto dovevamo restare in quarantena perché uno dei titolari aveva contratto il coronaviru­s. Il giorno dopo la Pec è stata addirittur­a pubblicata sui social, uno schifo». Il venerdì tutto lo studio è andato a sottoporsi al tampone al Cotugno e sono risultate positive sei persone: quattro avvocati e due segretarie.

«Viviamo certamente giorni difficili e dobbiamo restare chiusi in casa. Ognuno di noi vive recluso come se fossimo dei prigionier­i. Io per esempio sono segregato nella stanza di mia figlia e quando devo andare al bagno indosso la mascherina. Non sono positivo ma sono in casa come mi è stato prescritto dall’ospedale». E lo stesso stanno vivendo gli altri suoi colleghi. Il titolare dello studio e sua moglie «il loro figlio per ora è dai nonni». Un avvocato sposato con la segretaria dello studio, un altro avvocato in quarantena con la sua famiglia e poi fidanzate, fratelli e sorelle: «Nessuno può andare al lavoro». Il mondo dei social, come sempre, ha già la sentenza: tutti colpevoli. «E invece la dimostrazi­one che il sistema è marcio e per nulla organizzat­o come dovrebbe sapete dov’è? Mi è arrivata dall’ordine degli avvocati una mail nella quale mi si chiede il nome dei colleghi avvocati infetti così da poterli comunicare alla protezione civile. Una richiesta assurda. Pensare che neanche la Protezione civile sa chi siano i contagiati lascia veramente senza parole. Ci accusano per mascherare le loro incompeten­ze», ha concluso. «Ora mi aspetta la cena. L’hanno lasciata fuori dalla porta».

Quando tutto questo finirà inizieremo a denunciare chi ha pensato di mascherare i propri disastri

Abbiamo spento le connession­i ai social: piombano offese. Tra noi ci scriviamo e cerchiamo di sorridere

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L’allarme Tra gli avvocati paura di contagio dopo i casi riscontrat­i

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