Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Viviamo in casa come reclusi Falsità su di noi»
Parlano gli avvocati infettati: tutti dello stesso studio «Nessuno aveva manifestato sintomi fino a mercoledì In tribunale a Napoli siamo stati solo giovedì mattina»
«Irresponsabili? Untori? Siamo esterrefatti, ma a queste offese e accuse risponderemo con le denunce. Possiamo invece dire con convinzione che è solo grazie a noi e alla nostra coscienza che non ci saranno centinaia di infettati a Napoli». E ancora: «Per comunicare usiamo una chat: proviamo a confortarci ma il più delle volte ci raccontiamo della nostra vita da reclusi in questi giorni da quarantena che sembrano non passare mai». A parlare è uno dei soci dello studio legale travolto dal coronavirus: quattro avvocati, due segretarie e un totale di tredici persone in quarantena.
«Irresponsabili? Untori? Gente che meriterebbe di essere reclusa? Siamo esterrefatti, ma a queste offese e accuse risponderemo con le denunce. Possiamo invece dire con convinzione che è solo grazie a noi e alla nostra coscienza che non ci saranno centinaia di infettati a Napoli». Quello che stanno vivendo avvocati e segretari di uno noto studio napoletano è qualcosa a metà strada tra un incubo e una commedia surreale. «Per comunicare usiamo una chat: proviamo a confortarci ma il più delle volte ci raccontiamo della nostra vita da reclusi in questi giorni da quarantena che sembrano non passare mai. Abbiamo però deciso tutti assieme di non guardare più i social, di disconnetterci perché lì arrivano accuse che fanno male e sono profondamente ingiuste».
A parlare è uno dei soci dello studio legale che è stato travolto dal coronavirus: quattro avvocati, due segretarie e un totale di tredici persone in quarantena. «Io non sono risultato positivo al tampone anche se faccio gli scongiuri perché potrebbe accadere nei quattordici giorni di incubazione ma ricostruire la vicenda serve per sgombrare il campo da insinuazioni e accuse». Il riferimento innanzitutto è al governatore Vincenzo De Luca che ha accusato i professionisti di non aver agito con prudenza e di aver probabilmente infettato gli altri nelle aule di tribunale. «Sono accuse insensate. Il mio collega di studio è stato a Milano la scorsa settimana come decine di altri avvocati, come migliaia di persone ogni giorno. È tornato venerdì sera. Il sabato mattina non aveva alcun sintomo e mica doveva mettersi in quarantena? C’era una legge che lo imponeva? Assolutamente no. Neanche domenica e lunedì ha avuto sintomi influenzali o malesseri di qualsiasi tipo. Martedì sera ha iniziato a non sentirsi bene e mercoledì alle 7 del mattino mi ha inviato un messaggio dicendo che aveva la febbre a 38°. Era stato a Milano, poteva avere il coronavirus e così di sua spontanea volontà si è recato al Cotugno, si è fatto fare il tampone, insistendo con i medici perché la febbre era drasticamente diminuita visto che aveva preso un antipiretico. Nessuno dello studio legale aveva febbre, raffreddore, tosse e mercoledì sera non c’era ancora l’ufficialità del risultato del tampone: era un caso sospetto ma non positivo, poteva essere influenza - chiarisce ancora - Il giovedì mattina, due degli avvocati dello studio sono andati in tribunale a sbrigare pratiche e in udienza, la sera abbiamo avuto tutti la certezza che uno dei soci dello studio aveva contratto il virus». La paura prima di tutto, ma anche la coscienza di fare le azioni giuste e così lo studio già dal giovedì mattina è rimasto chiuso al pubblico. «La sera stessa abbiamo fatto partire una Pec agli uffici giudiziari nella quale chiedevamo il rinvio delle cause a noi assegnate in quanto dovevamo restare in quarantena perché uno dei titolari aveva contratto il coronavirus. Il giorno dopo la Pec è stata addirittura pubblicata sui social, uno schifo». Il venerdì tutto lo studio è andato a sottoporsi al tampone al Cotugno e sono risultate positive sei persone: quattro avvocati e due segretarie.
«Viviamo certamente giorni difficili e dobbiamo restare chiusi in casa. Ognuno di noi vive recluso come se fossimo dei prigionieri. Io per esempio sono segregato nella stanza di mia figlia e quando devo andare al bagno indosso la mascherina. Non sono positivo ma sono in casa come mi è stato prescritto dall’ospedale». E lo stesso stanno vivendo gli altri suoi colleghi. Il titolare dello studio e sua moglie «il loro figlio per ora è dai nonni». Un avvocato sposato con la segretaria dello studio, un altro avvocato in quarantena con la sua famiglia e poi fidanzate, fratelli e sorelle: «Nessuno può andare al lavoro». Il mondo dei social, come sempre, ha già la sentenza: tutti colpevoli. «E invece la dimostrazione che il sistema è marcio e per nulla organizzato come dovrebbe sapete dov’è? Mi è arrivata dall’ordine degli avvocati una mail nella quale mi si chiede il nome dei colleghi avvocati infetti così da poterli comunicare alla protezione civile. Una richiesta assurda. Pensare che neanche la Protezione civile sa chi siano i contagiati lascia veramente senza parole. Ci accusano per mascherare le loro incompetenze», ha concluso. «Ora mi aspetta la cena. L’hanno lasciata fuori dalla porta».
Quando tutto questo finirà inizieremo a denunciare chi ha pensato di mascherare i propri disastri
Abbiamo spento le connessioni ai social: piombano offese. Tra noi ci scriviamo e cerchiamo di sorridere