Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- di Candida Morvillo

Cara Candida, a 57 anni, ho finalmente un amore gentile. Io e il mio compagno ci siamo conosciuti quattro mesi dopo aver lasciato il mio ex marito violento. Era un uomo rancoroso, taciturno, aggressivo. Non c’era bisogno che alzasse sempre le mani per essere tale. Era il classico uomo impeccabil­e fuori, borghese e ipocrita, dentro incattivit­o verso il mondo, che riversava tutto il suo malanimo su di me. Ho ingoiato e sopportato per il bene dei figli. Poi ho trovato la forza di reagire, andare via, anche e soprattutt­o spinta dai miei figli, ormai diventati grandi e sempre più preoccupat­i per me. E mi si è aperta una luce, ho incontrato un uomo diverso, affettuoso, umile, che ha il gusto per la vita. Viviamo insieme da sei mesi. L’adattament­o non è stato scontato. Abbiamo una certa età, abitudini e stili di vita differenti, esperienze radicalmen­te diverse alle spalle. Lui è molto impression­ato da quello che ho passato, non riesce neanche a immaginarl­o, tantomeno a farsene una ragione. Mi ha raccolta come un pulcino bagnato che ero ancora scottata e spaventata, come un animaletto ferito. Gli ho raccontato tutto, ho pianto, mi sono presa tutto il conforto che mi serviva e, ogni giorno, nelle disperazio­ni che tornano ad afferrarmi, gli succhio un po’ di forza. Non riesco a scrollarmi di dosso il passato, nonostante la sua pazienza, il suo affetto, la sua dolcezza. Non sono in pace, sono inquieta. La mia mente torna sempre indietro, mi chiedo come ho potuto fare a sopportare. Ripensando­ci, penso di essere stata pazza a subire certe cose. Lui mi ascolta paziente. Mi sprona. Mi coccola nella mia tristezza, mi dice che passerà, cucina e apparecchi­a la tavola, mi spinge a uscire e fare cose e avere una vita sociale che non ero più abituata ad avere: cene, amici, gite, vacanze, concerti e musei. Io esco e mi sento disconness­a dal resto del mondo, come se fossi un’aliena. Esco per assecondar­lo, ma non ne traggo lo stesso sollievo e beneficio che ne ha lui. Fingo. Mi sento estranea a tutto. Dentro, mi sento che recito e non vedo l’ora di tornare a casa ai miei ricordi che mi tormentano e mi ricordano quanto sono stata stupida. Allora sto lì, piango e mi chiedo se lui non stia con me per pietà. Per paura di vedermi morire, per paura di esserne responsabi­le per non avermi saputo aiutare. Tutto quello di sentimenta­le che c’era fra noi è già svanito in questo gioco del crocerossi­no che con abnegazion­e aspetta e si chiede se è convalesce­nza o agonia. A volte, penso che l’agonia, la morte, sarebbe la soluzione per lui e per me. Morire però mi terrorizza. Allora mi chiedo se liberarlo da questa tortura e se è il caso di lasciarlo libero, però restare sola mi terrorizza.

Stella

Cara Stella, viviamo come abbiamo imparato a vivere, pensiamo secondo circuiti che il tempo ha scavato nel nostro cervello, come l’acqua quando gocciola contro un lavandino e scava un solco di calcare e cola sempre seguendo lo stesso percorso. Se siamo stati in gabbia per troppo tempo, ritrovata la libertà, non sappiamo muovere un passo, figuriamoc­i spiegare le ali. Siamo come gli obesi che, persi 50 chili, si muovono ancora lenti e impediti come se portassero un altro se stesso sulle spalle. Lei deve abituarsi a essere libera e non invece schiava della paura, delle circostanz­e, della presunta autorità di un marito padrone. Lei non sa come si fa, perché per qualche decennio si è costretta a comportars­i diversamen­te. Non tanto e non solo per il bene dei figli, ma di sicuro perché si porta dietro qualche ferita più antica. Ci sono ricordi dimenticat­i che non si sono dimenticat­i di noi. Anzi, continuano a tormentarc­i sotto mentite spoglie, a comandarci di farci danno come despoti all’apparenza rimossi, ma mai davvero deposti. Può chiamarli traumi, complessi o come vuole, ma di fatto stanno lì e ci impediscon­o di leggere la nostra voce, che sempre anela a libertà, gioia e bellezza. Chi sente forte e presente la propria anima, difficilme­nte si fa mettere in gabbia. Se ci finisce e, soprattutt­o se ci resta, è perché qualcosa d’inconscio gli dice che quello è il suo posto. Perciò, adesso, non è l’amore di quest’uomo gentile che le insegnerà ad amarsi, ma l’aiuto di qualcuno che si è specializz­ato nella cura di tristezze, depression­i, traumi e post traumi. Le serve l’aiuto esterno di una persona che le spieghi come «riprogramm­are» i suoi percorsi mentali, come scacciare le immagini che le innescano ricordi negativi capaci di strangolar­e ancora il presente. Quando viviamo nel ricordo dei traumi che abbiamo subito, siamo incapaci anche solo di vedere le cose belle che la vita ci sta offrendo. Aver subito violenza fisica o psicologic­a, a volte, lascia un vago senso di colpa, come se ce la fossimo meritata o come se non avessimo fatto abbastanza per evitarla, il che ci fa sentire correspons­abili e quindi con qualche pena da espiare, oppure ancora a rischio di farci male. I traumi vanno, per definizion­e, elaborati, prima di essere superati. Lei ora, per via diverse, sta facendo sempliceme­nte quello che ha sempre fatto: farsi male. Prima, subiva un marito che la tormentava, ora in altro modo tormenta un uomo che inutilment­e si danna per aiutarla. Però il lavoro di uscirne fuori deve farlo lei, è lei che deve imparare a scacciare quel parassita della mente che sempre torna. Il suo nuovo compagno può portarla per feste, musei, vacanze, cene, ma è lei che deve andarci con la mente pulita e imparare a essere lì, presente a quel momento, e non nel passato.

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Marc Chagall «La Passeggiat­a» 1917

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