Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quando Napoli scoprì il vaccino e inventò il metodo che aiutò il mondo
Gli studi sul vaiolo ai tempi di Ferdinando. L’utilizzo delle mucche allevate
Fuori dal campo medico forse non molti sanno che il regno di Napoli è stato all’avanguardia nella storia delle vaccinazioni. Se oggi il Coronavirus suscita allarme, antiche malattie come il vaiolo (trasmesso da uomo a uomo, mortale nel 30% dei casi e che lasciava i sopravvissuti sfigurati a vita) sono state un vero flagello. Oggi questo virus, grazie alla vaccinazione, non esiste più in natura e dal 1980 l’Oms ha dichiarato ufficialmente eradicato il vaiolo. Ciò lo si deve al medico inglese Edward Jenner che, nel 1796 eseguì con successo la prima vaccinazione su un bambino.
Appena 5 anni dopo, il 14 marzo 1801, a Palermo vengono fatte le prime vaccinazioni alla corte borbonica. A praticarle, su richiesta della regina Maria Carolina che aveva perso una sorella per il vaiolo, sono due medici inglesi venuti al Sud per vaccinare i soldati britannici che proteggevano Ferdinando IV riparato in Sicilia. Convinto della validità del metodo, il re fa inoculare anche i suoi figli e istituisce la vaccinazione gratuita per il popolo. Al suo ritorno a Napoli, decide di estendere il più possibile quella pratica e così, nell’agosto del 1802, istituisce la Direzione Vaccinica, composta da 10 professori vaccinatori, con sede nel Real Albergo dei Poveri e ne affida la direzione al suo chirurgo personale Michele Troja e al suo più stretto collaboratore, il medico salentino Antonio Miglietta.
La Direzione provvederà alle vaccinazioni nella capitale, a coordinare l’attività nelle province, a istruire i medici attraverso la pubblicazione di apposite guide e condurrà una capillare azione di promozione della nuova pratica nelle campagne, avvalendosi dell’aiuto di levatrici, medici condotti e parroci.
Artefice del successo dell’iniziativa sarà Miglietta, tanto da essere definito l’«apostolo della vaccinazione». Eppure non mancherà di scontrarsi con un altro medico napoletano, autore di un metodo che farà scuola nel mondo.
Intanto i primi benefici della vaccinazione a Napoli non tardano a manifestarsi, in occasione delle ricorrenti epidemie che colpiscono la città. Tuttavia non mancano i pregiudizi e i no-vax del tempo, tant’è che per convincere gli scettici, nel 1803 la Direzione organizza presso l’Ospedale della Santissima Annunziata, delle «controprove», come già fatto da Jenner. Davanti a molte persone, «chirurghi di prima reputazione, non appartenenti al Corpo de’ pubblici Vaccinatori» sono invitati a inoculare il vaiolo umano in 18 ragazzi dell’infanzia abbandonata, già vaccinati: 6 provengono dalla Ruota degli
Esposti dell’Annunziata, 6 dal Real Albergo dei Poveri, 6 dal popolo e nessuno di essi contrae la malattia. Grazie a questo successo, a Napoli e nelle province, tra il 1808 e il 1819, vengono eseguite ben 399.011 vaccinazioni, poco più del 17% di tutti i nati vivi nel Regno. Il decreto n. 141 del 6 novembre 1821 renderà la vaccinazione obbligatoria, per legge: è la prima volta in Italia.
La maggior parte delle vaccinazioni è eseguita utilizzando il vaccino di derivazione umana, il cui più convinto sostenitore è il dottor Miglietta, contro il parere di quelli che credono che comporti grossi rischi, tra cui la trasmissione di alcune gravi malattie come la sifilide. Tra questi il giovane Gennaro Galbiati, chirurgo ostetrico dell’Ospedale degli Incurabili, convinto che il vaccino derivato dalle mucche sia, invece, esente da tali pericoli.
Tra i due scoppia subito un’ accesa diatriba, con pubblicazioni da una parte e contro pubblicazioni dall’altra. Miglietta attacca ferocemente Galbiati e tenta addirittura di introdurre il divieto per legge della vaccinazione col virus proveniente dalle vacche. Galbiati risponde pubblicando, nel 1810 sul «Giornale di Vaccinazione», una memoria scientifica a sostegno del suo metodo, che risulta essere il più antico documento conosciuto sull’argomento. Non solo, apre un impianto di produzione di vaccino antivaioloso dalle giovenche e ha un tale successo che Napoli si trova ad avere ben due servizi di vaccinazione: quello pubblico e gratuito, gestito da Miglietta e quello privato, di Galbiati, riservato alle classi sociali più elevate che possono permettersi di pagare il suo metodo più innovativo ma anche più costoso. Questo metodo viene praticato
” Galbiati scrisse un trattato che cambiò l’idea dominante sull’uso del sangue umano che poteva portare alla trasmissione di gravi malattie
per molti anni, anche dopo la morte di Galbiati, dal suo allievo Giuseppe Negri (che adopera le mucche allevate nelle stalle reali di Portici e Capodimonte) e reso noto in campo internazionale da un altro allievo, Ferdinando Palasciano.
Agli inizi del ‘900 il medico francese E. Chambon, colpito dalla lunga esperienza napoletana del metodo Galbiati, decide di riprodurlo in Francia e per rendere omaggio al medico napoletano, ristampa in francese la memoria del 1810 con una sua prefazione. Nei decenni seguenti la comunità scientifica mondiale adotterà di fatto il metodo Galbiati del vaccino di derivazione animale, prodotto dalla moderna industria farmaceutica, fino alla totale scomparsa del vaiolo, facendo dell’esperienza napoletana un modello nella storia della medicina mondiale.