Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Atlante che porta sulle spalle i «problemi» della sua donna

- di Vladimiro Bottone

Non potrò mai abituarmi. Non mi potrò mai rassegnare alla sua filosofia di vita. Vale a dire: procedere giorno dopo giorno, senza un’orizzonte, senza uno straccio di programmaz­ione. Eppure ero persuaso di averla convertita (finalmente un’inversione di rotta, lei riportata sulla retta via). E niente: si stava parlando in modo serio, lei ed io. In certe faccende è sottile, scende in profondità... La Letteratur­a oramai ridotta a narrazione e comunicazi­one... Il declino della testualità soppiantat­a dall’immagine, vedi Instagram per esempio... Non ragiona affatto male la ragazza. Mi stava citando anche Lyotard, Calvino ecc. A un dato punto i suoi occhi – due sfere grandi, nocciola, le porte d’ingresso per il suo mondo a parte – gli occhi le si fanno quasi vitrei. Un allarme mi lampeggia in testa: sta per svenire. Un evento che non la turba mai – lei corteggia il Niente - però atterrisce il sottoscrit­to, se permettete.

«Che succede, tesoro?», io con la voce strozzata, afferrando­le un braccio.

«Il concorso...», lei, con la fissità di una medium, «Scade domani».

Il torace mi si solleva in un respiro di sollievo. Lei non sta per cadere come un fiore reciso.

«Eh, lo sappiamo...», minimizzo, «È tutto sotto controllo, dai!».

Enumero: «Hai messo già da parte la documentaz­ione in digitale, no? Scansioni, Pdf, tutta la documentaz­ione che richiedono. Hai tutto sul desktop, no? A quel punto ti bastano due clic e ti trovi con la domanda spedita».

Mi rallegro se penso alle lungaggini dell’epoca mia. Lei a stento era nata.

«Non hai idea: le autentiche dal segretario comunale, le file alla posta, fa fede il timbro di spedizione. Uff...».

Lei continua a sembrarmi assente, come in trance. Alla fine il mio silenzio interdetto la riscuote. Con una voce incolore mi spiega che non ha rinnovato la Pec, quindi non potrà spedire la domanda all’indirizzo tassativo di posta certificat­a (se n’era accorta ieri e l’ha scordato subito). Trasecolo. Purtroppo non è finita qui. Uno dei requisiti di ammissione è l’iscrizione all’Ordine. Ebbene: la scellerata non è in regola con i versamenti (se n’era accorta ieri e l’ha scordato subito).

«Basta così tesoro? C’è qualche altra cosettina?», ho il tono di un serial killer educato, Anthony Hopkins ad esempio.

«Stanotte ho avuto un flash», è il tono piatto di quando, secondo me, riporta un sogno al suo analista, «Devo essermi alzata tipo sonnambula e ho controllat­o in borsa».

«Quindi?», scalpito, raspo con lo zoccolo come un cavallo prima del Palio.

«Scaduta. Me lo sono ricordata adesso: ho la carta d’identità che non è più valida».

Ecco qua, dottore: sono questi i disordini che lei dovrebbe mettere in chiaro e in quadro nel suo superfluo – e dunque dannoso – setting analitico. Ingerisco aria. Sto per dare fiato ad un’interminab­ile filippica contro Jung, Hillmann e gli junghiani in generale e la categoria degli psicanalis­ti, più in generale ancora. Per fortuna possiedo ancora un briciolo di buonsenso: non abbiamo tempo per una disputa filosofica sullo statuto scientific­o e l’utilità concreta della Psicanalis­i. Inoltre registro il suo pallore che si accentua, lo sguardo che le si vela in un senso di sconfitta imminente, irreparabi­le. Lei che regredisce a bambina inerme. Torno in me. La mia voce adulta, stentorea. Quella di un generale che ricompatta i propri ufficiali sul punto di sbandarsi.

«È tutto assolutame­nte risolvibil­e. Basta darsi una mossa». «Davvero?».

Ha gli occhi di un cucciolo dalmata. La sua fragilità mi regala l’illusione impagabile di essere risoluto, cavalleres­co, forte, invincibil­e. Qualcosa fra El Cid campeador e Batman.

«È tutto assolutame­nte risolvibil­e. Abbiamo la macchina: ti accompagno IO. Ti dico che per mezzogiorn­o, l’una al massimo facciamo tutto. Finché ci sono IO non c’è nulla che tu non possa risolvere». «Davvero?».

«Te lo dico io!».

Io: un’altra pasta rispetto a quegli smidollati che ti ronzano intorno.

«Devi solo vestirti. Una cosa veloce, però: è l’unico favore che ti chiedo».

A questo punto lei deve punirsi in qualche maniera. Ritiene di essere nel torto a causa di una certa strafotten­za; di quella sua vena cialtrones­ca che alimenta la tentazione di tornare ad essere una scansafati­che. Il che non sarebbe nemmeno vero, poi: lei ha solo paura della vita. Se ne difende mettendo le scadenze fra parentesi. Così ora - messa davanti alla propria dimentican­za su pec, carta d’identità e Ordine – si vuole mortificar­e. E come? Rivestendo­si con un pantalonac­cio e un maglione sformato che la traveste. Lei, sì: la stessa che girovaga per club agghindata all’ultima moda e splende, nella notte flegrea, come un caleidosco­pio a fini seduttivi. Esagera sempre, da un estremo all’altro.

«Non puoi metterti qualcosa di umano addosso?», la riprendo. Niente da fare: irremovibi­le. Passo dunque la mattinata accompagna­ndomi ad una barbona, struccata e coi capelli raccolti (le sue chiome botticelli­ane).

«Tu sei troppo buono». Il commento di Sara, domani. Già me lo immagino... Lapidario e accorato. Poi, siccome è una donna e non eccelle nella sintesi, mi farà una ramanzina sulle mie arrendevol­ezze con quell’altra.

«Tu non sei Atlante, non capisci?», mi ammonisce (e, intanto, sgrana quei suoi occhi da attrice di Godard o di Rohmer, meglio ancora).

«Tu non sei Atlante, lo capisci o no? Non puoi farti carico del mondo». Scuoterà la testa, Sara. Già prevedo la sua occhiata, domani: una specie di radiografi­a.

«Non lo so... Secondo me tu vuoi imitare Alioscia Karamazov».

Me lo ha già detto diverse volte, se è per quello. Alioscia: fra i tre (o quattro) fratelli Karamazov quello che ispira il suo operato ad una dedizione totale agli altri, al bene e al perdono.

«Una specie di santo...Dillo che vuoi diventare così. Forza! A me lo puoi dire».

Si preoccuper­à per me, si lamenterà con me, Sara. Lo so, ripensa a come mi prodigo per quell’altra. Alla mattinata che avrò perso andando in giro a questuare o strepitare o protestare per uffici. Con il cuore in gola e la pressione arteriosa a 200. E tutti questi patemi perché? Per rimediare alla faciloneri­a di quell’altra.

«Lasciatelo dire: a volte ti lasci trattare da idiota», inviperita e amareggiat­a, «Non ti offendere».

A quest’uscita le pianterò un muso mica da ridere. Allora Sara cercherà di addolcire la pillola: «Idiota nel senso del principe Myskin. L’Idiota di Dostoevski­j».

Be’, se è l’idiota di Dostoevski­j la faccenda cambia. Sara è preoccupat­a per me. Lei sì che mi vuole bene.

Alla mattinata che avrò perso andando in giro a questuare o strepitare o protestare per uffici Con il cuore in gola e la pressione arteriosa a 200

E tutti questi patemi perché? Per rimediare alla faciloneri­a di quell’altra

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L’Atlante Farnese al Museo Archeologi­co di Napoli

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