Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ragazzata a mano armata e legalità disprezzata
La tragedia di Ugo Russo, il ragazzo quindicenne ucciso da un carabiniere mentre tentava una rapina, ci conferma che a Napoli la violenza non è un puro fatto criminale, ma un modello culturale, uno stile di vita, un paradigma giovanile, e financo una moda. Forse ha perfino ragione il padre della vittima, quando dice che il figlio non era un delinquente abituale, un soldato già irregimentato nei ranghi dell’esercito della camorra. Le indagini ci diranno chi era veramente Ugo. Ma di certo considerava la pistola come uno status symbol, una via diretta e rapida al successo e all’autoaffermazione, e la rapina occasionale come un bancomat, un modo per fare i soldi per andare la sera in discoteca.
Un giovane così poteva davvero pensare che in fin dei conti una rapina con una pistola giocattolo non fosse altro che «ragazzata», per usare le parole del padre.
Ma è proprio questo che rende il problema della criminalità minorile a Napoli più drammatico che altrove ed estremante difficile da risolvere. Perché richiede di affrontare, discutere e possibilmente rimuovere un atteggiamento culturale che la nostra città condivide con poche aree metropolitane del mondo (alcune grandi città americane, qualche megalopoli asiatica e africana). E che consiste nel fatto che la legalità viene messa in discussione su basi di massa come valore in sé, e dunque neutrale perché uguale per tutti; e chi per una qualsiasi ragione ce l’ha con lo Stato, attribuendogli la causa dei suoi problemi, finisce spesso con il respingere la legalità come uno strumento di parte, un’arma del nemico, una mistificazione da rifiutare.
Questa idea non è circoscritta al mondo criminale. Riguarda anche l’ampia zona grigia che è ai margini della legalità, e a cui forse apparteneva Ugo. Ma sfiora anche il mondo delle persone «per bene». Quando il procuratore generale Luigi Riello, tra l’altro citando un nostro articolo, ebbe il coraggio di dire due anni fa che «l’egemonia culturale nella nostra città è nelle mani dei delinquenti», e che per questo non si determina quella «ribellione morale e civile» che solo potrebbe isolarli, mise il dito sulla piaga. La reazione della Napoli ufficiale, dei poteri pubblici e degli opinion leader, fu la negazione o il silenzio. E invece che Riello avesse ragione è dimostrato proprio dalle reazioni alla vicenda dell’uccisione di Ugo.
Non mi riferisco solo a quelli che hanno pensato di vendicare il ragazzo devastando un ospedale o sparando contro una caserma dei carabinieri, comportamenti ovviamente facilmente esecrati da tutti, perfino dal padre della vittima. Mi riferisco pure a quelli che, dalla parte opposta, hanno lanciato l’hashtag #iostocolcarabiniere, perché anche loro hanno così mostrato la propria indifferenza per il principio di legalità.
Quello che è avvenuto a Napoli non è stato infatti un duello da far west, col carabiniere nella parte dello sceriffo e il rapinatore in quella del bandito. Non c’è dunque da stare col carabiniere, ma con la legge. Solo alla legge siamo tutti sottoposti, e solo la legge ci dirà le responsabilità personali di tutti i protagonisti di questa vicenda. Stiamo con i carabinieri, al plurale, perché sono la legge. Ma la confusione sul termine «legalità» che questa storia porta alla luce è radicata nel cuore della cultura cittadina. Ricordo che il sindaco de Magistris, che pure è un ex uomo di legge, ha più volte dichiarato che c’è una bella differenza tra legalità e giustizia, come se sotto o al di là della legge ci fosse la possibilità di una giustizia sostanziale, cioè «superiore» alla legalità. Non fraintendetemi, ma questo è esattamente ciò che pensavano anche i delinquenti che hanno sparato contro la caserma dei carabinieri, e cioè che la legge non avrebbe mai fatto giustizia, e che era dunque giusto farsela da sé. Ecco la gravità del corto circuito cui assistiamo ogni volta che un episodio di violenza di strada sconvolge Napoli e turba la grande maggioranza dei suoi cittadini, che vorrebbero solo vivere in pace e in sicurezza, e che temono il dilagare della legge del più forte.
Per sostituire il dominio della legge al dominio della legge del più forte non riesco a vedere altra via d’uscita che una politica di tolleranza zero. Che non vuol dire repressione poliziesca, come molti credono, ma prevenzione del crimine e diffusione intransigente di una cultura della legalità, che prosciughi lo stagno in cui nuotano i delinquenti. A Napoli c’è un’area grigia in cui sono considerati accettabili o quantomeno tollerabili comportamenti che sono fuori dalla legalità. Finché non verrà eliminata, anche una «ragazzata» si farà a mano armata.