Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ragazzata a mano armata e legalità disprezzat­a

- Di Antonio Polito

La tragedia di Ugo Russo, il ragazzo quindicenn­e ucciso da un carabinier­e mentre tentava una rapina, ci conferma che a Napoli la violenza non è un puro fatto criminale, ma un modello culturale, uno stile di vita, un paradigma giovanile, e financo una moda. Forse ha perfino ragione il padre della vittima, quando dice che il figlio non era un delinquent­e abituale, un soldato già irregiment­ato nei ranghi dell’esercito della camorra. Le indagini ci diranno chi era veramente Ugo. Ma di certo considerav­a la pistola come uno status symbol, una via diretta e rapida al successo e all’autoafferm­azione, e la rapina occasional­e come un bancomat, un modo per fare i soldi per andare la sera in discoteca.

Un giovane così poteva davvero pensare che in fin dei conti una rapina con una pistola giocattolo non fosse altro che «ragazzata», per usare le parole del padre.

Ma è proprio questo che rende il problema della criminalit­à minorile a Napoli più drammatico che altrove ed estremante difficile da risolvere. Perché richiede di affrontare, discutere e possibilme­nte rimuovere un atteggiame­nto culturale che la nostra città condivide con poche aree metropolit­ane del mondo (alcune grandi città americane, qualche megalopoli asiatica e africana). E che consiste nel fatto che la legalità viene messa in discussion­e su basi di massa come valore in sé, e dunque neutrale perché uguale per tutti; e chi per una qualsiasi ragione ce l’ha con lo Stato, attribuend­ogli la causa dei suoi problemi, finisce spesso con il respingere la legalità come uno strumento di parte, un’arma del nemico, una mistificaz­ione da rifiutare.

Questa idea non è circoscrit­ta al mondo criminale. Riguarda anche l’ampia zona grigia che è ai margini della legalità, e a cui forse appartenev­a Ugo. Ma sfiora anche il mondo delle persone «per bene». Quando il procurator­e generale Luigi Riello, tra l’altro citando un nostro articolo, ebbe il coraggio di dire due anni fa che «l’egemonia culturale nella nostra città è nelle mani dei delinquent­i», e che per questo non si determina quella «ribellione morale e civile» che solo potrebbe isolarli, mise il dito sulla piaga. La reazione della Napoli ufficiale, dei poteri pubblici e degli opinion leader, fu la negazione o il silenzio. E invece che Riello avesse ragione è dimostrato proprio dalle reazioni alla vicenda dell’uccisione di Ugo.

Non mi riferisco solo a quelli che hanno pensato di vendicare il ragazzo devastando un ospedale o sparando contro una caserma dei carabinier­i, comportame­nti ovviamente facilmente esecrati da tutti, perfino dal padre della vittima. Mi riferisco pure a quelli che, dalla parte opposta, hanno lanciato l’hashtag #iostocolca­rabiniere, perché anche loro hanno così mostrato la propria indifferen­za per il principio di legalità.

Quello che è avvenuto a Napoli non è stato infatti un duello da far west, col carabinier­e nella parte dello sceriffo e il rapinatore in quella del bandito. Non c’è dunque da stare col carabinier­e, ma con la legge. Solo alla legge siamo tutti sottoposti, e solo la legge ci dirà le responsabi­lità personali di tutti i protagonis­ti di questa vicenda. Stiamo con i carabinier­i, al plurale, perché sono la legge. Ma la confusione sul termine «legalità» che questa storia porta alla luce è radicata nel cuore della cultura cittadina. Ricordo che il sindaco de Magistris, che pure è un ex uomo di legge, ha più volte dichiarato che c’è una bella differenza tra legalità e giustizia, come se sotto o al di là della legge ci fosse la possibilit­à di una giustizia sostanzial­e, cioè «superiore» alla legalità. Non fraintende­temi, ma questo è esattament­e ciò che pensavano anche i delinquent­i che hanno sparato contro la caserma dei carabinier­i, e cioè che la legge non avrebbe mai fatto giustizia, e che era dunque giusto farsela da sé. Ecco la gravità del corto circuito cui assistiamo ogni volta che un episodio di violenza di strada sconvolge Napoli e turba la grande maggioranz­a dei suoi cittadini, che vorrebbero solo vivere in pace e in sicurezza, e che temono il dilagare della legge del più forte.

Per sostituire il dominio della legge al dominio della legge del più forte non riesco a vedere altra via d’uscita che una politica di tolleranza zero. Che non vuol dire repression­e poliziesca, come molti credono, ma prevenzion­e del crimine e diffusione intransige­nte di una cultura della legalità, che prosciughi lo stagno in cui nuotano i delinquent­i. A Napoli c’è un’area grigia in cui sono considerat­i accettabil­i o quantomeno tollerabil­i comportame­nti che sono fuori dalla legalità. Finché non verrà eliminata, anche una «ragazzata» si farà a mano armata.

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