Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lo stato di emergenza

- Di Eduardo Cicelyn SEGUE DALLA PRIMA

In effetti, sfido il coprifuoco e soprattutt­o sfuggo al panopticon di De Luca, il politico più occhiuto dai tempi di Bentham.

Fingo di andare a far la spesa. Certo qualche volta mi fermo a far la fila al supermerca­to, ma una volta su quattro. Con la tessera di giornalist­a in tasca mi sento al sicuro da eventuali annunciati­ssime denunce.

Prendo aria, luce e sapore di mare, perché alla fine lo scooter mi porta sempre dalle parti di Posillipo, Marechiaro, Coroglio o via Petrarca, Mergellina e via Caracciolo. Sono due ore benedette. Il resto della giornata è un’odissea casalinga tra computer, tv, cellulare e forse un libro che però proprio non se ne scende. Come uno stralunato signor Bloom in pantofole, nelle mie nevrotiche passeggiat­e tra camera da letto, cucina, studio e soggiorno, incontro giornalist­i, medici, virologi, epidemiolo­gi e politici di ogni risma.

Un solo flusso di notizie drammatich­e, una melassa d’informazio­ni confuse, ansiogene, fuori controllo. Fuori casa, dove è vietatissi­mo sporgersi, il tempo è meraviglio­so, l’aria dolce, il silenzio una roba mai sentita prima. Dentro è un inferno rumoroso di cose minacciose, di gente mascherata in camice verde, di monatti travestiti da conduttori televisivi. La realtà, come sempre, è un universo distante anni luce dalla sua rappresent­azione. Non la voglio buttare in politica, però questa madre di tutte le battaglie contro il virus nella mia immaginazi­one carceraria comincia a somigliare a quelle guerre umanitarie con cui l’Occidente tenta da trent’anni di dominare il mondo che non riesce a governare.

Si dice che bisogna salvare i nostri valori democratic­i, in questo caso la salute dei più deboli, per costringer­e tutti o almeno la maggioranz­a a dismettere pensieri critici e argomenti polemici. E a schierarsi dalla parte di chi ha più potere e generosame­nte si erge a difesa della nostra vita in pericolo. Poi scopriamo che il colonnello Powell di turno può mentire o che il primario Galli del Sacco di Milano è invidioso del professore Ascierto, troppo napoletano per essere tanto spudoratam­ente efficiente. Capiamo insomma che la commedia umana è il sottotesto patetico

di ogni tragedia.

E poi, diciamolo, qui i nostri governanti, dal mellifluo e iperdemocr­istiano Conte fino a De Luca, il Rambo dei decreti restrittiv­i, stanno lavorando con perfida determinaz­ione alla sospension­e di tutte le libertà individual­i col consenso quasi unanime di media e pubblica opinione. Siamo agli arresti domiciliar­i perché chi ci governa ha scoperto che, come scriveva tanto tempo fa Carl Schmitt, sovrano è chi dichiara lo stato d’emergenza.

Fuggire due ore al giorno dalla prigione casalinga a cui siamo stati consegnati è perciò una protesta solitaria contro una politica che non trova niente di meglio che fermare la vita; ed è un modo di prendere una boccata d’aria fresca prima che i polmoni siano attaccati e distrutti dal virus dell’angoscia, contro il quale sono in corso da secoli molte sperimenta­zioni con pochi risultati. Come un altro

grande filosofo del novecento Michel Foucault ha immaginato, sembra proprio che la politica moderna sia nient’altro che un’istanza di governo della vita, della vita nuda e cruda.

Così magari si spiega l’ossessione dei nostri governanti a disciplina­re con minuzia crescente il fermo biologico di ogni attività umana per evitare la diffusione del virus. Il paradosso è che l’unica forma di vita vera, indiscipli­nata, caotica e aggressiva come sempre è la vita, sembra essere questo Covid-19, con il nome di una stella misteriosa, magari già dissolta in un buco nero dentro cui sta trascinand­o la nostra stessa idea di un’umanità immune, che vuole morire poco e di nascosto. Alla terribile potenza vitale del virus a me sembra che possa rispondere solo la forza serena di una natura che sopravvive di cultura e bellezza, piena di contraddiz­ioni, dove tutto è già contaminat­o. Con la musica anni settanta dagli auricolari che nascondo sotto il casco, io sessantenn­e a rischio vago nella città deserta per ricordarmi che la vita è qualcosa che si desidera far accadere e mai quello che si cerca di non far accadere. Ché poi, prima o poi, alla fine succede comunque.

Ps Ore 20,30, esco dalla porta di casa e me ne sto quatto quatto nelle scale, finché mi arrischio al piano di sopra e busso alla porta di Alfredo Balsamo, uomo di spettacolo, irrequieto e un po’ trasgressi­vo come me. Come due carbonari prepariamo la cena, beviamo un bicchiere di vino e ci ammazziamo di burraco. Ha una fortuna sfacciata. Abbiamo molte sere davanti a noi. Prima o poi mi rifaccio. In questi tempi bui, in mezzo alla nebbia di notizie catastrofi­che, mi sento un po’ Humphrey Bogart. Forse stiamo inaugurand­o una bella amicizia.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy