Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Mancusi Barone, una saga meridionale partita da Sarno
Sentimenti universali e vitalismo bergsoniano sono la vera anima del romanzo corale La Foce (Guida Editore), esordio letterario del magistrato Giuseppe Mancusi Baroni.
Lo scrittore, nato a Sarno nel 1940, muovendosi tra memorie e biografismo racconta, attingendo dalla sua storia familiare, trasfigurata dall’invenzione, una vicenda che resiste a ogni confinamento di genere, pur intrecciandone diversi dal romanzo storico a quello sociale. Come lo stesso autore tiene a ribadire in una delle due premesse al libro, la sua opera si configura piuttosto come un romanzo esistenziale di ampio respiro: «Avevo contratto più di un debito coi personaggi del mio romanzo, che per esprimere amore, ambizione, odio, voglia di vivere e, anche sensualità, appartengono alla latitudine dell’Uomo che nel suo essere e divenire rimane immutabile ad ogni latitudine storica».
L’idea nasce da appunti, ricordi, annotazioni, qualche pagina scritta nei suoi ritiri capresi. Una storia a cui lo scrittore pensa per un trentennio, speso tra la professione giuridica e la scrittura saggistica. Realizzata poi in quattro anni, dopo il colloquio telefonico con Inge Feltrinelli, e l’esigenza, avvertita in modo più urgente, di dare vita al romanzo, ricomponendo frammenti in un’architettura complessa dal disegno ordinato. 420 pagine di ritmo serrato, lingua precisa, nessuna elucubrazione di troppo o didascalia, solo il racconto di un romanziere. La vicenda è ambientata agli inizi del ‘900, a Sarno, borgo allora a vocazione prevalentemente agricola, espressione di quell’Italia Meridionale che stentava ad affrancarsi da un’economia e una società molto arretrate. Il Sud che, dopo il processo di unificazione, non teneva il passo ma appariva insieme incapace e desideroso di cambiamento. Ne è protagonista, il capostipite della famiglia, Giuseppe Mancusi Barone, nonno dello scrittore, avvocato penalista, vero e proprio filantropo, sensibile e attento ai bisogni degli altri; a contendergli il ruolo, il personaggio di Demetrio, uomo dalla straordinaria bellezza, figlio di contadini, in grado di incarnare per la sua generosità gli ideali del pensiero vitalistico del filosofo Bergson. Sono evidenti i rimandi al filone della letteratura meridionalistica di stampo realista, sviluppatosi tra la metà dell’Ottocento e il Novecento, di cui il romanzo di Mancusi porta il segno nella visione del mondo legata a valori ancestrali colti nel momento del passaggio a una nuova dimensione storico sociale, in cui devono necessariamente trascolorare. È tuttavia innegabile la sua duplice natura riconoscibile nella costante oscillazione tra l’esigenza di rappresentazione realistica di luoghi e vicende e loro trasfigurazione in chiave simbolica. Così anche i numerosi personaggi, alcuni reali, altri inventati, tutti con una loro forza, sono una convincente messa in scena di sentimenti e passioni. Odio, amore, violenza, gelosia. Si racconta l’umanità e l’essere uomini.
Dualismo
Due personaggi contrapposti, l’avvocato filantropo e il figlio di contadini