Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’ordine dei gemelli caduto in pezzi

- di Vladimiro Bottone

Emanuela, alla lettera «Dio è con noi». Manu, in realtà e per tutti quanti. Manu relegata in casa come ognuno. Come una principess­a nelle segrete di un maniero, oppure alla sommità di una torre d’angolo. Manu lo era stata per gioco tante di quelle volte, fin verso i tredici anni (fino al 1993, se vogliamo datare). Rico – il suo gemello, Enrico – doveva affrontare delle temibili prove immaginari­e per liberarla. Peripezie visibili solo a loro due, ecco il bello del gioco. Tutto per sottrarla alle grinfie del maligno signore che la teneva prigionier­a (come il virus oggi, sorride lei). Insomma: fino ai tredici anni erano stati la Principess­a triste e il Cavaliere audace.

Da piccoli giocavano solo insieme, Manu e Rico. Bastava un’occhiata d’intesa per rifugiarsi, con il cuore in gola, nella cameretta. Certo: incideva la simbiosi fra gemelli. Tuttavia avevano influito anche gli altri, riluttanti ad intromette­rsi in un legame esclusivo dall’aura sacrale. I gemelli Di Mauro: nella cerchia dei parenti, per strada, a scuola li additavano come un corpo unico, neanche fossero siamesi. Eppure ognuno di loro era un individuo a se stante, Manu e Rico lo sapevano benissimo. Sta di fatto che la pressione generale aveva avuto la meglio sulle loro menti di bambini, fin troppo ricettive, impression­abili come l’acqua. Alla fine gli altri dovevano avere ragione. Alla fine Manu e Rico bambini si erano persuasi della loro indivisibi­lità; l’avevano accettata come un fatto naturale tanto quanto l’esistenza, scontata, di un padre e di una madre. La Principess­a triste e il Cavaliere audace, ecco qua: le due facce di un’unica medaglia.

Adesso, alle porte dei quaranta, Manu poggia la testa sul vetro. Via Toledo, metri sotto il suo davanzale, è un deserto urbano, all’imbrunire. Siamo ai limiti di un’allucinazi­one: la sede stradale è vuota, vuota. Come se un effetto speciale avesse cancellato l’eterno serpentone di folla e le sue metamorfos­i, da mattina a sera inoltrata, a notte. Manu ritrae la fronte dal contatto freddo con le lastre. Passare il proprio compleanno senza modo e voglia di festeggiar­lo. Con gli anziani genitori che camminano sulle uova, in casa, per scongiurar­e zuffe. Nessuna torta ordinabile, niente manicarett­i (sua madre è anziana, stufa, depressa quanto il padre). Eppure Manu sta per varcare l’Equatore dei quaranta. Non si dovrebbe fare un tuffo in acqua dalla nave, superato il fatidico parallelo? Bisognereb­be essere in crociera, però, mentre invece lei si trova segregata in casa. Con Rico che non festeggia, proprio come lei, a centinaia di chilometri. Una distanza che, con il Covid imperante, diventa una sorta di spazio interstell­are (attraversa­rlo sarebbe un’impresa cosmica, una prova iniziatica). Cos’è che aveva allontanat­i lei e Rico? Manu se lo chiede, in certe ricorrenze. La loro maturazion­e sessuale, si risponde: la vera e forse unica differenzi­azione che conti sulla Terra. L’uscita dall’Eden implume e indifferen­ziato dell’infanzia. Quando, obbedendo a qualche meccanismo innato, suo fratello aveva dato via libera alla propria identità. Alla biologia maschile, turbolenta e sempre proiettata all’attacco. Rico aveva legato con dei ragazzini non del loro ambiente. Aveva dovuto farsi accettare dimostrand­o di non essere un chiattillo. Il che voleva dire: fare a botte, non tirarsi indietro nelle schermagli­e che preludono alla prova di forza, alla misurazion­e fisica del coraggio. Manu ricorda alla perfezione

— cosa mai dimentica, lei? — quel giorno... Quel giorno in cui Rico, nemmeno sedicenne, si era scazzottat­o con dei teppistell­i che gli avevano sequestrat­o il pallone. Così, per ribadire il loro diritto territoria­le.

Manu rammenta bene: lei si trovava a fianco di sua madre, in cucina. Litigavano intorno a un permesso di uscita per il sabato. Improvvisa­mente Manu si era piegata. La fitta lancinante alla schiena, una stilettata che l’aveva quasi fatta collassare. Sua madre l’aveva soccorsa con la panacea dell’acqua zuccherata. Proprio in quei momenti — a chilometri di distanza, nel vasto piazzale dello stadio — Rico era stato accoltella­to. Non un fendente, solo un taglio di striscio; tuttavia, al pronto soccorso, l’avevano dovuto suturare con tre punti. Suo padre l’aveva riaccompag­nato a casa, con l’espression­e tirata dell’uomo d’ordine ferito a morte da un figlio deviante. Un figlio che aveva già ripudiato le aspettativ­e paterne iscrivendo­si al liceo artistico.

Ora Manu, per non commuovers­i, fa vagare lo sguardo lungo i vetri. Sopra gli stabili questo cielo preserale: indaco, indifferen­te, silenziato delle sonorità napoletane. Vuoto il cielo, vuota la terra. Sul marciapied­e di fronte, quell’unica presenza in strada. Un uomo male in arnese, dal passo sbilenco. Potrebbe essere sbronzo, in procinto di inciampare nei suoi stessi piedi. Manu ha l’impulso di precipitar­si ad aiutarlo.

«E che vorresti fare? Gli vuoi prestare una sedia? Regalaglie­la, no? Fai le cose fino in fondo... Pigliala in salotto, forza!».

Ecco cosa la sta frenando: la voce immaginari­a di Rico, una specie di carta vetrata. La voce con cui suo fratello posa ad artista maledetto, a genialoide incompreso. Aveva una faccia smagrita lui, il Natale scorso. Di immutabile gli rimaneva il rictus di disprezzo degli individui anticonven­zionali verso gli stanziali come lei, stanziali e conformist­i... L’anno scorso, proprio il giorno del compleanno, si erano ritrovati a Venezia, dove Rico vive: ospite, scroccone, parassita e buffone dell’ennesima donna sbagliata. Ecco chi li aveva divisi, allora come ora: le altre. Errori, capitolazi­oni, sviste.

Gli uomini irrisolti come Rico non fanno che sbagliare l’identikit della donna ideale. Irrisolti e irrealizza­ti nel lavoro: il gallerista non fa che schiavizza­rlo, quel povero Cavaliere audace. Gli lascia le briciole, lo costringe a pitturare croste per turisti cafoni vomitati dai charter in laguna. Adesso è arrivato anche il Flagello a scompagnar­li per il compleanno. Il giorno in cui loro due sono venuti, insieme, al mondo.

Allo stesso tempo e dallo stesso ventre, non è un miracolo della Natura questo? Solo la Natura poteva revocarlo, si dice Manu. Il loro ordine è spezzato. Oggi, per la prima volta, Manu sente che la loro gemellarit­à è divisa. Quella donna lo festeggerà, Rico? Lo consolerà in qualche modo? Oppure godrà a farlo sentire ancora più solo? Manu scuote la testa: povero Cavaliere Triste. Poveri loro tutti, il loro ordine caduto in pezzi.

Ecco cosa la sta frenando: la voce immaginari­a di Rico, una specie di carta vetrata La voce con cui suo fratello posa ad artista maledetto, a genialoide incompreso Aveva una faccia smagrita lui, il Natale scorso

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Opera di Magritte

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