Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’ordine dei gemelli caduto in pezzi
Emanuela, alla lettera «Dio è con noi». Manu, in realtà e per tutti quanti. Manu relegata in casa come ognuno. Come una principessa nelle segrete di un maniero, oppure alla sommità di una torre d’angolo. Manu lo era stata per gioco tante di quelle volte, fin verso i tredici anni (fino al 1993, se vogliamo datare). Rico – il suo gemello, Enrico – doveva affrontare delle temibili prove immaginarie per liberarla. Peripezie visibili solo a loro due, ecco il bello del gioco. Tutto per sottrarla alle grinfie del maligno signore che la teneva prigioniera (come il virus oggi, sorride lei). Insomma: fino ai tredici anni erano stati la Principessa triste e il Cavaliere audace.
Da piccoli giocavano solo insieme, Manu e Rico. Bastava un’occhiata d’intesa per rifugiarsi, con il cuore in gola, nella cameretta. Certo: incideva la simbiosi fra gemelli. Tuttavia avevano influito anche gli altri, riluttanti ad intromettersi in un legame esclusivo dall’aura sacrale. I gemelli Di Mauro: nella cerchia dei parenti, per strada, a scuola li additavano come un corpo unico, neanche fossero siamesi. Eppure ognuno di loro era un individuo a se stante, Manu e Rico lo sapevano benissimo. Sta di fatto che la pressione generale aveva avuto la meglio sulle loro menti di bambini, fin troppo ricettive, impressionabili come l’acqua. Alla fine gli altri dovevano avere ragione. Alla fine Manu e Rico bambini si erano persuasi della loro indivisibilità; l’avevano accettata come un fatto naturale tanto quanto l’esistenza, scontata, di un padre e di una madre. La Principessa triste e il Cavaliere audace, ecco qua: le due facce di un’unica medaglia.
Adesso, alle porte dei quaranta, Manu poggia la testa sul vetro. Via Toledo, metri sotto il suo davanzale, è un deserto urbano, all’imbrunire. Siamo ai limiti di un’allucinazione: la sede stradale è vuota, vuota. Come se un effetto speciale avesse cancellato l’eterno serpentone di folla e le sue metamorfosi, da mattina a sera inoltrata, a notte. Manu ritrae la fronte dal contatto freddo con le lastre. Passare il proprio compleanno senza modo e voglia di festeggiarlo. Con gli anziani genitori che camminano sulle uova, in casa, per scongiurare zuffe. Nessuna torta ordinabile, niente manicaretti (sua madre è anziana, stufa, depressa quanto il padre). Eppure Manu sta per varcare l’Equatore dei quaranta. Non si dovrebbe fare un tuffo in acqua dalla nave, superato il fatidico parallelo? Bisognerebbe essere in crociera, però, mentre invece lei si trova segregata in casa. Con Rico che non festeggia, proprio come lei, a centinaia di chilometri. Una distanza che, con il Covid imperante, diventa una sorta di spazio interstellare (attraversarlo sarebbe un’impresa cosmica, una prova iniziatica). Cos’è che aveva allontanati lei e Rico? Manu se lo chiede, in certe ricorrenze. La loro maturazione sessuale, si risponde: la vera e forse unica differenziazione che conti sulla Terra. L’uscita dall’Eden implume e indifferenziato dell’infanzia. Quando, obbedendo a qualche meccanismo innato, suo fratello aveva dato via libera alla propria identità. Alla biologia maschile, turbolenta e sempre proiettata all’attacco. Rico aveva legato con dei ragazzini non del loro ambiente. Aveva dovuto farsi accettare dimostrando di non essere un chiattillo. Il che voleva dire: fare a botte, non tirarsi indietro nelle schermaglie che preludono alla prova di forza, alla misurazione fisica del coraggio. Manu ricorda alla perfezione
— cosa mai dimentica, lei? — quel giorno... Quel giorno in cui Rico, nemmeno sedicenne, si era scazzottato con dei teppistelli che gli avevano sequestrato il pallone. Così, per ribadire il loro diritto territoriale.
Manu rammenta bene: lei si trovava a fianco di sua madre, in cucina. Litigavano intorno a un permesso di uscita per il sabato. Improvvisamente Manu si era piegata. La fitta lancinante alla schiena, una stilettata che l’aveva quasi fatta collassare. Sua madre l’aveva soccorsa con la panacea dell’acqua zuccherata. Proprio in quei momenti — a chilometri di distanza, nel vasto piazzale dello stadio — Rico era stato accoltellato. Non un fendente, solo un taglio di striscio; tuttavia, al pronto soccorso, l’avevano dovuto suturare con tre punti. Suo padre l’aveva riaccompagnato a casa, con l’espressione tirata dell’uomo d’ordine ferito a morte da un figlio deviante. Un figlio che aveva già ripudiato le aspettative paterne iscrivendosi al liceo artistico.
Ora Manu, per non commuoversi, fa vagare lo sguardo lungo i vetri. Sopra gli stabili questo cielo preserale: indaco, indifferente, silenziato delle sonorità napoletane. Vuoto il cielo, vuota la terra. Sul marciapiede di fronte, quell’unica presenza in strada. Un uomo male in arnese, dal passo sbilenco. Potrebbe essere sbronzo, in procinto di inciampare nei suoi stessi piedi. Manu ha l’impulso di precipitarsi ad aiutarlo.
«E che vorresti fare? Gli vuoi prestare una sedia? Regalagliela, no? Fai le cose fino in fondo... Pigliala in salotto, forza!».
Ecco cosa la sta frenando: la voce immaginaria di Rico, una specie di carta vetrata. La voce con cui suo fratello posa ad artista maledetto, a genialoide incompreso. Aveva una faccia smagrita lui, il Natale scorso. Di immutabile gli rimaneva il rictus di disprezzo degli individui anticonvenzionali verso gli stanziali come lei, stanziali e conformisti... L’anno scorso, proprio il giorno del compleanno, si erano ritrovati a Venezia, dove Rico vive: ospite, scroccone, parassita e buffone dell’ennesima donna sbagliata. Ecco chi li aveva divisi, allora come ora: le altre. Errori, capitolazioni, sviste.
Gli uomini irrisolti come Rico non fanno che sbagliare l’identikit della donna ideale. Irrisolti e irrealizzati nel lavoro: il gallerista non fa che schiavizzarlo, quel povero Cavaliere audace. Gli lascia le briciole, lo costringe a pitturare croste per turisti cafoni vomitati dai charter in laguna. Adesso è arrivato anche il Flagello a scompagnarli per il compleanno. Il giorno in cui loro due sono venuti, insieme, al mondo.
Allo stesso tempo e dallo stesso ventre, non è un miracolo della Natura questo? Solo la Natura poteva revocarlo, si dice Manu. Il loro ordine è spezzato. Oggi, per la prima volta, Manu sente che la loro gemellarità è divisa. Quella donna lo festeggerà, Rico? Lo consolerà in qualche modo? Oppure godrà a farlo sentire ancora più solo? Manu scuote la testa: povero Cavaliere Triste. Poveri loro tutti, il loro ordine caduto in pezzi.
Ecco cosa la sta frenando: la voce immaginaria di Rico, una specie di carta vetrata La voce con cui suo fratello posa ad artista maledetto, a genialoide incompreso Aveva una faccia smagrita lui, il Natale scorso