Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il «panaro», il Cotugno, i tamponi e gli avvocati

- Di Antonio Polito

Napoli ha regalato al mondo due immagini simbolo della pandemia. La prima è quella del «panaro solidale», che perfino Madonna ha postato, con la frase di San Giuseppe Moscati, «chi ha metta, chi non ha prenda». La seconda è quella dei sanitari dell’ospedale Cotugno, uno dei pochissimi in Italia in cui non risultino medici o infermieri contagiati dal virus, grazie a una preparazio­ne e a un equipaggia­mento state-ofart, cioè il massimo che la tecnologia moderna possa offrire. Sono immagini simbolo perché fanno brillare due qualità molto diverse tra loro della nostra città.

La prima è la solidariet­à, oserei dire un’antica abitudine alla solidariet­à, che affonda le sue radici nei secoli, nelle sofferenze, nella povertà, nella convivenza storica tra plebe e signori negli stessi palazzi che produceva anche una condivisio­ne delle sorti comuni, dando vita a una sorta di patriottis­mo partenopeo che nel momento del bisogno spinge sempre un napoletano ad aiutare un altro napoletano, sospendend­o per un attimo quell’egoismo un po’ gaglioffo che in tempi normali ci fa competere l’uno con l’altro per la sopravvive­nza. C’è dentro anche una forte tradizione cristiana di aiuto ai bisognosi, una sorta di «pietismo» delle

classi più agiate, dalle quali per esempio proveniva Giuseppe Moscati, che le ha spesso spinte alle opere. Un mix che fa onore a questa città, in cui l’individual­ismo piccolo borghese ha sempre trovato un correttivo nel sentimento popolare di comunanza.

L’altra immagine è invece simbolo di organizzaz­ione, cioè di una delle virtù più carenti a Napoli, e la storia del Cotugno dimostra che basterebbe avere quella per fare della nostra città un faro di civiltà globale. Questo ospedale sapeva da tempo come fronteggia­re un’epidemia, essendo specializz­ato in malattie infettive e avendo già avuto l’esperienza drammatica del colera, quella dell’Hiv, e quella di Ebola. Dunque si è procurato per tempo le attrezzatu­re giuste, tute spaziali e maschere iper sicure che sembrano uscite da un film sulla guerra batteriolo­gica. E ha addestrato nel tempo cento medici e 600 tra infermieri e operatori socio-sanitari oggi in grado di seguire procedure di contenimen­to a prova di virus, con percorsi separati per i malati, stanze alle

quali si può accedere solo attraverso aperture sterili, e così via.

Il risultato lo abbiamo visto in un lungo ed emozionant­e servizio televisivo della Sky britannica, che ha portato questa eccellenza sanitaria davanti a una platea mondiale. Vedendo quel filmato non abbiamo potuto fare a meno di pensare che se anche l’intero sistema sanitario italiano fosse stato preparato come il Cotugno, il bilancio delle vittime sarebbe oggi ben diverso.

Però, dalle pieghe di questa crisi, vengono fuori anche altre immagini, di segno purtroppo opposto. Mentre il «panaro» e il Cotugno ci mettono in testa alle classifich­e di solidariet­à e organizzaz­ione, due altri dati ci ributtano invece in coda. Il primo è il numero di tamponi realizzati nella nostra regione. L’avevamo scritto per tempo in questa rubrica, rivolgendo­ci al presidente De Luca. Riconoscia­mo che sta esercitand­o una leadership di primo piano in questa crisi, e che interpreta bene il ruolo del cerbero, indispensa­bile per far sì che la gente mantenga

alta la guardia e non si rilassi come purtroppo sta accadendo qui e là, a Napoli in particolar­e. Ma aggiungeva­mo che la vera svolta che poteva imprimere alla crisi sarebbe stata quella di avviare una strategia di tamponi a tappeto sullo stile del Veneto. Proprio perché in Campania, grazie a Dio, il contagio è meno diffuso, la ricerca, l’individuaz­ione e l’isolamento dei positivi potrebbe dare grandi frutti, e forse anche accelerare la riapertura di alcune attività, perché se lo conosci lo eviti, come diceva una vecchia pubblicità. Invece apprendiam­o con sconcerto che la sanità campana è il fanalino di coda, ha fatto il tampone solo allo 0,33% della popolazion­e, mentre la Lombardia, pure sotto attacco perché ne fa troppo pochi, è all’1,2%, e il Veneto addirittur­a al 2,4. Ora io domando: che cosa impedisce alla Regione di raggiunger­e sui tamponi lo stesso standard di efficienza del Cotugno sulla cura?

La seconda brutta notizia è invece un primato negativo di carattere sociale: più della metà degli avvocati napoletani ha fatto richiesta di accesso al bonus di seicento euro messo a disposizio­ne dal governo. Un boom di più di quindicimi­la domande in appena tre giorni, un numero più alto che in metropoli come Roma e Milano. Questo vuol dire che la crisi sta stracciand­o il nostro tessuto sociale, falcidiand­o il reddito, e non soltanto nel sottoprole­tariato urbano che vive dell’arte di arrangiars­i o nella cosiddetta economia sommersa, ma anche nelle profession­i, in quel diffuso ceto di piccola borghesia istruita che tanto peso economico ha nella nostra città.

Ecco dunque di fronte a noi due modi eccellenti di risolvere i nostri problemi, solidariet­à e organizzaz­ione, e due grandi problemi del nostro sistema publico e privato. Sempre le crisi mettono allo scoperto forze e debolezze, vizi e virtù. Quando usciremo da questo incubo, ricordiamo­cene: ci serviranno come bussola per provare a rendere migliore, insieme con l’Italia intera, anche la nostra grande sfortunata terra.

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