Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL TEATRO FESTIVAL NON SI FARÀ
Previsto a breve, nei mesi di maggio e giugno, se ne attendeva la presentazione per tempo Rimasto sconosciuto il suo programma, l’annuncio ufficiale della cancellazione è in arrivo I soldi disponibili dal mancato utilizzo delle compagnie straniere si potr
Anche il Napoli Teatro Festival – come c’era da aspettarsi – non si farà. Prima dell’emergenza sanitaria la manifestazione che fa capo alla Regione appariva avvolta in un cono d’ombra.
Anche il Napoli Teatro Festival Italia – come c’era da aspettarsi – non si farà. Prima dell’emergenza sanitaria la manifestazione che fa capo alla Regione, attraverso la Fondazione Campania dei Festival , appariva avvolta in un cono d’ombra. Prevista nei mesi di maggio e giugno se ne attendeva la presentazione per tempo, intorno a Natale, poi la data venne abbandonata e spostata più avanti. Rimasto il suo programma sconosciuto, l’annuncio ufficiale della sua cancellazione almeno nelle date previste è ora in arrivo, a poche settimane dal via, mentre una dopo l’altra e un po’ in sordina sono state annullate le manifestazioni minori: «Le belle stagioni» e «Pangea» della serie «Quartieri di vita» e un’altra, quella su Raffaele Viviani, rimodulata e trasmessa ieri sera in streaming sul sito della Fondazione.
La formula del Festival decollato nel 2007 con ambizioni internazionali, ma con la quota di crociera secondo alcuni non del tutto raggiunta, prevede la partecipazione di compagnie straniere ed è sostenuto con un budget cospicuo dalla mano pubblica.
Al rammarico per la chiusura di tutte le attività di spettacolo in Italia e fuori, compresi i Festival europei più importanti, si aggiunge l’amarezza per la perdita di quello napoletano.
Seguendo il filo insopprimibile della speranza e mentre ancora si osservano con ansia i numeri del bollettino delle 18 già si comincia però a parlare del dopo-emergenza, del cambiamento che inevitabilmente ci sarà in molti settori e che sarà necessario governare con saggezza.
In una lettera inviata in questi giorni dal presidente dell’Agis Carlo Fontana al ministro Franceschini, si sottolinea come il mondo dello spettacolo – le aziende che lo producono, le forze creative che lo alimentano, gli artisti, i tecnici che vi lavorano – non abbia soltanto bisogno di sopperire alle perdite derivanti dalla chiusura delle attività, ma anche la necessità di recuperare quel rapporto con il pubblico che ha subìto un trauma brusco e dalle conseguenze incalcolabili. Occorreranno molti mesi e cospicui sforzi per risollevare il settore e riportare con serenità ed entusiasmo la gente verso i luoghi di spettacolo.
Napoli ha nel campo dell’Arte un tessuto produttivo intenso e variegato, è fra le città teatrali più vive e vivaci. E rinnovando il suo tradizionale europeismo ha sempre aperto – non soltanto nel Teatro Festival – le frontiere a realtà diverse, ad operatori, talenti, proposte che rappresentino una faccia significativa e diversa dalla propria cultura o dal proprio modo di farla. Val la pena ricordare per inciso che il maggior Museo della città è ora affidato alla direzione di un francese, il San Carlo a una terna formata da un francese, un greco e uno slovacco.
Ora le circostanze potrebbero giustificare il ritorno ad una sorta di autarchia, con il sostegno della mano pubblica rivolta in maniera prevalente alla produzione locale, ai suoi artisti, ai suoi operatori, così da sostenerne la convalescenza e riportarla a quella salute migliore di prima, che è fra le speranze generalizzate per il dopo-virus. I soldi disponibili dal mancato utilizzo delle compagnie straniere si trasformerebbero in pioggia benedetta per gli inariditi campicelli dei teatranti locali. Così come lo sarebbero per i musicisti, o addirittura per una istituenda Orchestra Sinfonica della Campania, della cui esigenza si è fatto portavoce in tempi recenti questo giornale, qualora venisse accantonato il progetto di chiamare «in residenza» per una serie di concerti in Regione la West Eastern Divan Orchestra. È una proposta avanzata al governatore De Luca dal neo sovrintendente del San Carlo Lissner, che impegnerebbe anche Daniel Barenboim, che di quella orchestra è direttore e fondatore. I suoi componenti – che nel 1999, anno della sua fondazione , venivano selezionati metà in Palestina e metà in Israele – sono ormai professionisti sparsi per il mondo ed è difficile che possano rispondere alla chiamata, con la pandemia diventata globale.
L’idea di ricostruzione che dovrebbe accompagnare il dopo virus, non può prescindere dalla coscienza che la vita culturale di una comunità non è fatta di «eventi» ma dal livello e dalla continuità del suo standard qualitativo.
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La rinascita
L’idea di ricostruzione che dovrebbe accompagnare il dopo virus, non può prescindere dalla coscienza che la vita culturale di una comunità non è fatta di «eventi» ma dal livello e dalla continuità del suo standard qualitativo