Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Camilla e il mondo
Ieri ho lanciato sul mio profilo Facebook un format di dirette «a due», ovvero: io che invito un ospite e, insieme, ci facciamo quattro chiacchiere live sull’emergenza Covid-19 e su tutto quello in cui si è trasformata la sua vita in questo periodo. Per la prima puntata ho scelto Camilla, una mia cara amica che, già da un po’ di anni, vive e lavora negli Stati Uniti d’America, precisamente in New Jersey, un passo da New York.
L’obiettivo di questo format, che si chiama «A casa mia», è quello di condividere l’esperienza e i frammenti della vita quotidiana di chi vive all’estero, in città e paesi lontanissimi dal nostro. Inseguire questo maledetto virus in giro per il globo e raccontare le conseguenze del suo passaggio, nazione dopo nazione.
Perché se pandemia deve essere: che tutto il mondo diventi casa nostra, mi sono detto. Proviamo a mettere il naso fuori dai nostri confini fin da adesso, impariamo a sentire vicine realtà che appaiono agli antipodi rispetto a quelle che respiriamo noi. La diretta
è andata benissimo, Camilla è stata super in gamba. Le persone collegate tante, come le domande. La gente ha fame di sapere, di confronto, di conoscere. Molta più fame di quella che vedevo prima. Perché la paura rende l’uomo più elettrico, in cerca di pareri, soluzioni, soprattutto di punti di vista.
Quelli che di solito, per indole tutta umana, tendiamo a sminuire o non ascoltare, pensando di sapere il fatto nostro ed essere sempre i primi della classe. All’inizio, lo scorso gennaio, gli untori erano i cinesi. Poi, in un batter d’occhio, gli untori siamo diventati noi. Com’è stato, essere italiani, in quel periodo? Quelle settimane durante le quali tutto il mondo ci ha visto come la minaccia? Ecco. Ascoltiamo tutti, prendiamo in considerazione la loro verità. Che mai più il mondo si rimpicciolisca, finendo solo nel nostro ombelico.