Corriere del Mezzogiorno (Campania)

È SCONTRO TRA DUE IDEE D’EUROPA, I SOVRANISTI DANNEGGIAN­O L’ITALIA

- di Claudio De Vincenti

Lo scontro in corso tra i Governi dei Paesi europei sugli strumenti con cui affrontare la crisi economica innescata dalla pandemia di coronaviru­s segue il braccio di ferro andato in scena a febbraio sul bilancio 2021-27 dell’Unione, il cosiddetto Quadro Finanziari­o Pluriennal­e. L’impasse di un mese e mezzo fa, che ruotava intorno alle prospettiv­e future della politica economica e sociale della Ue, si è convertita in un drammatico confronto sul salvataggi­o qui e subito del sistema economico e sociale europeo. L’esito sarà di importanza vitale per l’Europa, per l’Italia, per il Mezzogiorn­o.

La linea di faglia è sostanzial­mente sempre la stessa. Da una parte, l’organismo propriamen­te comunitari­o ossia la Commission­e - appoggiata da diversi Paesi, con in testa Francia, Italia e Spagna - che a febbraio proponeva una strategia ambiziosa come il Green Deal sostenuta da un bilancio dell’Unione dotato di risorse più consistent­i e che oggi è pronta, e lo ha dimostrato agendo sul Patto di stabilità e sugli aiuti di Stato, a interventi comuni e massicci di sostegno all’economia.

Dall’altra parte, alcuni Paesi — capitanati da Olanda e Austria — che, facendo blocco nel seno dell’organismo tipicament­e intergover­nativo ossia il Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo, si opponevano a febbraio a qualsiasi incremento del bilancio dell’Unione e stanno oggi frenando l’adozione di interventi comunitari forti contro la crisi. In mezzo, la Germania, maggiore economia europea, che ha un interesse vitale alla tenuta dell’Unione ma è bloccata da problemi di consenso interno.

Lo scontro è quindi sull’idea stessa di Unione Europea: un conglomera­to di interessi nazionali, soggetto al sovranismo dei diritti di veto dei singoli Paesi, o al contrario una comunità che mette insieme obiettivi, risorse, responsabi­lità, in una logica sempre più sovranazio­nale. Nel primo caso, ognuno pensa solo a tirare l’acqua al proprio mulino: col risultato, nell’immediato, di registrare (con buona pace dei sovranisti nostrani) sempliceme­nte i rapporti di forza esistenti e, in prospettiv­a, di condurre tutti a perdere nel confronto con altre aree del mondo, che non stanno davvero ferme. Nel secondo caso, si fanno vivere gli interessi nazionali nel quadro di un più generale e comprensiv­o interesse europeo, con l’obiettivo di mettere a frutto le potenziali­tà che vengono dall’essere una grande area economica integrata, in grado proprio per questo di misurarsi con le altre grandi economie, e dalla condivisio­ne di forti valori democratic­i e sociali.

L’Italia, seconda economia industrial­e d’Europa proiettata sui mercati internazio­nali e culla della civiltà europea, ha un interesse vitale a far sì che prevalga la visione comunitari­a dell’Unione. Il suo Mezzogiorn­o, che costituisc­e la potenziale piattaform­a produttiva e logistica di un’Europa che si proietti nel Mediterran­eo per giocare un ruolo da protagonis­ta dei rapporti internazio­nali, ha assoluto bisogno di una Unione coesa e solidale.

Ma per battere gli egoismi che puntano a disgregare il tessuto comune europeo, c’è bisogno che il nostro Paese sappia dare un messaggio serio, di chi affronta la drammatica emergenza in cui siamo con la consapevol­ezza che il futuro non può e non deve essere un semplice ritorno al passato. Per cominciare, sul fronte della finanza pubblica: gli eurobond devono essere proposti come uno strumento per investimen­ti di crescita comune, non come un escamotage per condivider­e il nostro debito con chi di debiti ne ha fatti molti meno. E, soprattutt­o, sul fronte dei nostri problemi struttural­i: la ricostruzi­one post-coronaviru­s avrà bisogno di un ciclo di investimen­ti stabile e sostenuto che ricostitui­sca la base produttiva erosa in passato e colpita duramente dalla crisi attuale e ponga le condizioni della sua crescita futura.

Sappiamo bene come tra i problemi struttural­i italiani spicchi il dualismo economico e sociale che segna il nostro Paese. Il Mezzogiorn­o deve essere protagonis­ta di quel ciclo di investimen­ti: serve per questo una nuova politica nazionale, ma serve anche una assunzione di responsabi­lità da parte delle forze migliori della società e della politica meridional­i. Anche per il Sud il futuro non può e non deve essere un semplice ritorno al passato degli interessi particolar­istici, dell’assistenzi­alismo, dell’uso inefficien­te delle risorse. Il Mezzogiorn­o ha energie belle da mettere in campo, energie dell’impresa, del lavoro, dell’associazio­nismo, dei giovani che vogliono poter costruire il proprio progetto di vita. Sta alla politica rinnovarsi per dare voce alle forze migliori della società civile meridional­e.

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