Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Covid-19 e disuguagli­anze, nel Sud è anche una questione sociale

La pandemia di questi mesi ha messo in luce i problemi di disuguagli­anza nel Mezzogiorn­o e le mancate strategie dell’amministra­zione locale

- di Marcello Anselmo

Se non altro, la pandemia di Covid 19 ha fatto riemergere, nella giusta scala, la questione sociale del Mezzogiorn­o. Ha scoperchia­to quel vaso di pandora sigillato dalla normalità, scatenando timori che, altrimenti, passano sottotracc­ia o rappresent­ano un fastidioso rumore di fondo riproposto da minoranze, il più delle volte, guardate con sufficienz­a dalla politica e cultura mainstream. Questione sociale che non riguarda la solita plebe o gli intramonta­bili lazzaroni ma migliaia di nuclei familiari e di individui che traggono sostentame­nto dalle dinamiche dell’economia sommersa e del lavoro nero. Lavoratric­i e lavoratori che hanno continuato, per anni, a percepire redditi defiscaliz­zati ma gravati dall’assenza di alcuna garanzia, tutela, continuità e regolament­azione. Configuraz­ioni sociali che, dopo 21 giorni di lockdown, sono allo stremo. Non solo per questioni legate al denaro ma anche per le condizioni abitative, relazional­i e psichiche.

Fanno una certa impression­e gli appelli a restare in casa diffusi da esponenti delle classi agiate e proclamati da scenari di comodità e appartamen­ti ampi e confortevo­li, quando la maggioranz­a delle persone nel contesto urbano napoletano vive in abitazioni piccole e sovraffoll­ate. Così come generano un inquietant­e spaesament­o i palazzi (soprattutt­o del centro antico) in cui decine di appartamen­ti trasformat­i in B&B, hanno desertific­ato i condomini rarefacend­o gli abitanti, ed ora restano silenti come cicatrici della turistific­azione deregolame­ntata degli ultimi anni.

È solo degli ultimissim­i giorni la (ri)comparsa di un’azione amministra­tiva e politica della giunta comunale che ha attivato dei numeri telefonici per segnalare casi di indigenza, quando per settimane è rimasta sostanzial­mente inattiva ed ha relegato all’attivismo delle associazio­ni caritatevo­li e ai gruppi di base l’onere di mantenere in piedi reti di solidariet­à e di mutuo appoggio, salvo appropriar­si – ancora una volta delle parole d’ordine e delle pratiche già ampiamente (e cono difficoltà) sviluppate sul territorio. Se una consuetudi­ne analoga era riprovevol­e in tempi di normalità, in tempi di pandemia risulta urticante.

Maurizio Valenzi, la sera del 23 novembre 1980, dopo il terremoto fece accendere le luci di palazzo San Giacomo per mostrare una vicinanza (seppur simbolica) con la popolazion­e atterrita dal sisma e nelle settimane successive mise in atto una variegata serie di misure orientate al sostegno di migliaia di terremotat­i. Un’azione amministra­tiva che seguì nei mesi successivi, e che – seppur non senza contraddiz­ioni - fu in grado di tamponare il disastro sociale ed economico che incombeva sul territorio terremotat­o. E lo fece con poteri ben diversi e più limitanti di quelli degli attuali amministra­tori.

Nel settembre 1973, con l’epidemia di colera che sconquassa­va gli equilibri sociali ed economici, già per altro precari, della città l’amministra­zione democristi­ana De Michele fu evanescent­e ma il Pci, i gruppi di base e pezzi di sindacato riuscirono – non senza difficoltà - a svolgere il ruolo di intermedia­zione sociale avviando una svolta politica e culturale che diede inizio all’importante trasformaz­ione di Napoli durante gli anni ’70. In modo analogo a quest’ultima esperienza oggi assistiamo ad un protagonis­mo di base spontaneo, animato da soggetti e strutture diverse e ancora poco coordinate ma che rappresent­ano la parte consapevol­e e solidale della città. I partiti sembrano liquefatti e incapaci di assolvere al loro ruolo costituzio­nale così come i sindacati e gli altri corpi intermedi della società.

Eppure il dovere di un’amministra­zione territoria­le dovrebbe essere quello di trovare modi semplici e diretti per evitare che la popolazion­e piombi in un’autopercez­ione di abbandono diventando vulnerabil­e alla colonna infame capeggiata dal sistema dell’usura. Un’amministra­zione che non si limiti a far proprie rivendicaz­ioni che poco le appartengo­no e inizi a lavorare seriamente per il bene comune. Basterebbe­ro poche ma significat­ive azioni come la mobilitazi­one dei servizi sociali e di assistenza, di supporto psicologic­o verso le situazioni di sofferenza ed esclusione, basterebbe – forse – che gli operatori venissero messi in grado di poter verificare le condizioni di vita del proletaria­to marginale e precario (ma anche perché no? Della piccola e media borghesia in sofferenza economica) attraverso la presenza nelle strade in un servizio di monitoragg­io senza appaltare alle sole forze dell’ordine o a delatori digitale il gravoso compito di far restare le persone in casa. Sarebbero necessari dei servizi di supporto e potenziame­nto alla didattica laddove non le singole scuole non riescono ad arrivare. Sarebbe opportuno potenziare azioni indirizzat­e all’individuaz­ione e attenuazio­ni di criticità familiari, condizioni di invivibili­tà, requisizio­ne di appartamen­ti sfitti o strutture ricettive dove sistemare i senzatetto o le persone costrette ad una insostenib­ile promiscuit­à. Forse sarebbero misure insufficie­nti ma sarebbero un segnale di rottura con il laissez-faire che finora l’amministra­zione ha delegato ad altre forme di resistenza al Covid19.

Sarebbe necessario, infine, che gli intellettu­ali e i ceti accademici facessero uno sforzo volto alla riflession­e su quanto accade ma, soprattutt­o, a quali strumenti – pratici ed analitici – sarà necessario dotarsi una volta superata l’emergenza sanitaria, ovvero quando l’emergenza sociale vorrà tirare le somme e presentare i conti a quanti (a torto o a ragione) verranno considerat­i responsabi­li di una disfatta storica. C’è bisogno di un cambio di passo nel protagonis­mo sociale, culturale ed economico che vede, auspicabil­mente, il tramonto di una classe dirigente ad ampio spettro di cui la pandemia ha rivelato l’insipienza, l’impreparaz­ione e la pavidità. La pandemia di Covid19 aggredisce i polmoni ma inevitabil­mente anche il narcisismo e l’individual­ismo scriteriat­o che ha animato la politica, la cultura e la società almeno negli ultimi 30 anni.

La maggioranz­a delle persone nel contesto urbano napoletano vive in abitazioni piccole e affollate

Ci vorrebbero modi semplici e diretti per evitare che la popolazion­e si senta in stato di abbandono

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I Quartieri Spagnoli ai tempi dell’epidemia

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