Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Covid-19 e disuguaglianze, nel Sud è anche una questione sociale
La pandemia di questi mesi ha messo in luce i problemi di disuguaglianza nel Mezzogiorno e le mancate strategie dell’amministrazione locale
Se non altro, la pandemia di Covid 19 ha fatto riemergere, nella giusta scala, la questione sociale del Mezzogiorno. Ha scoperchiato quel vaso di pandora sigillato dalla normalità, scatenando timori che, altrimenti, passano sottotraccia o rappresentano un fastidioso rumore di fondo riproposto da minoranze, il più delle volte, guardate con sufficienza dalla politica e cultura mainstream. Questione sociale che non riguarda la solita plebe o gli intramontabili lazzaroni ma migliaia di nuclei familiari e di individui che traggono sostentamento dalle dinamiche dell’economia sommersa e del lavoro nero. Lavoratrici e lavoratori che hanno continuato, per anni, a percepire redditi defiscalizzati ma gravati dall’assenza di alcuna garanzia, tutela, continuità e regolamentazione. Configurazioni sociali che, dopo 21 giorni di lockdown, sono allo stremo. Non solo per questioni legate al denaro ma anche per le condizioni abitative, relazionali e psichiche.
Fanno una certa impressione gli appelli a restare in casa diffusi da esponenti delle classi agiate e proclamati da scenari di comodità e appartamenti ampi e confortevoli, quando la maggioranza delle persone nel contesto urbano napoletano vive in abitazioni piccole e sovraffollate. Così come generano un inquietante spaesamento i palazzi (soprattutto del centro antico) in cui decine di appartamenti trasformati in B&B, hanno desertificato i condomini rarefacendo gli abitanti, ed ora restano silenti come cicatrici della turistificazione deregolamentata degli ultimi anni.
È solo degli ultimissimi giorni la (ri)comparsa di un’azione amministrativa e politica della giunta comunale che ha attivato dei numeri telefonici per segnalare casi di indigenza, quando per settimane è rimasta sostanzialmente inattiva ed ha relegato all’attivismo delle associazioni caritatevoli e ai gruppi di base l’onere di mantenere in piedi reti di solidarietà e di mutuo appoggio, salvo appropriarsi – ancora una volta delle parole d’ordine e delle pratiche già ampiamente (e cono difficoltà) sviluppate sul territorio. Se una consuetudine analoga era riprovevole in tempi di normalità, in tempi di pandemia risulta urticante.
Maurizio Valenzi, la sera del 23 novembre 1980, dopo il terremoto fece accendere le luci di palazzo San Giacomo per mostrare una vicinanza (seppur simbolica) con la popolazione atterrita dal sisma e nelle settimane successive mise in atto una variegata serie di misure orientate al sostegno di migliaia di terremotati. Un’azione amministrativa che seguì nei mesi successivi, e che – seppur non senza contraddizioni - fu in grado di tamponare il disastro sociale ed economico che incombeva sul territorio terremotato. E lo fece con poteri ben diversi e più limitanti di quelli degli attuali amministratori.
Nel settembre 1973, con l’epidemia di colera che sconquassava gli equilibri sociali ed economici, già per altro precari, della città l’amministrazione democristiana De Michele fu evanescente ma il Pci, i gruppi di base e pezzi di sindacato riuscirono – non senza difficoltà - a svolgere il ruolo di intermediazione sociale avviando una svolta politica e culturale che diede inizio all’importante trasformazione di Napoli durante gli anni ’70. In modo analogo a quest’ultima esperienza oggi assistiamo ad un protagonismo di base spontaneo, animato da soggetti e strutture diverse e ancora poco coordinate ma che rappresentano la parte consapevole e solidale della città. I partiti sembrano liquefatti e incapaci di assolvere al loro ruolo costituzionale così come i sindacati e gli altri corpi intermedi della società.
Eppure il dovere di un’amministrazione territoriale dovrebbe essere quello di trovare modi semplici e diretti per evitare che la popolazione piombi in un’autopercezione di abbandono diventando vulnerabile alla colonna infame capeggiata dal sistema dell’usura. Un’amministrazione che non si limiti a far proprie rivendicazioni che poco le appartengono e inizi a lavorare seriamente per il bene comune. Basterebbero poche ma significative azioni come la mobilitazione dei servizi sociali e di assistenza, di supporto psicologico verso le situazioni di sofferenza ed esclusione, basterebbe – forse – che gli operatori venissero messi in grado di poter verificare le condizioni di vita del proletariato marginale e precario (ma anche perché no? Della piccola e media borghesia in sofferenza economica) attraverso la presenza nelle strade in un servizio di monitoraggio senza appaltare alle sole forze dell’ordine o a delatori digitale il gravoso compito di far restare le persone in casa. Sarebbero necessari dei servizi di supporto e potenziamento alla didattica laddove non le singole scuole non riescono ad arrivare. Sarebbe opportuno potenziare azioni indirizzate all’individuazione e attenuazioni di criticità familiari, condizioni di invivibilità, requisizione di appartamenti sfitti o strutture ricettive dove sistemare i senzatetto o le persone costrette ad una insostenibile promiscuità. Forse sarebbero misure insufficienti ma sarebbero un segnale di rottura con il laissez-faire che finora l’amministrazione ha delegato ad altre forme di resistenza al Covid19.
Sarebbe necessario, infine, che gli intellettuali e i ceti accademici facessero uno sforzo volto alla riflessione su quanto accade ma, soprattutto, a quali strumenti – pratici ed analitici – sarà necessario dotarsi una volta superata l’emergenza sanitaria, ovvero quando l’emergenza sociale vorrà tirare le somme e presentare i conti a quanti (a torto o a ragione) verranno considerati responsabili di una disfatta storica. C’è bisogno di un cambio di passo nel protagonismo sociale, culturale ed economico che vede, auspicabilmente, il tramonto di una classe dirigente ad ampio spettro di cui la pandemia ha rivelato l’insipienza, l’impreparazione e la pavidità. La pandemia di Covid19 aggredisce i polmoni ma inevitabilmente anche il narcisismo e l’individualismo scriteriato che ha animato la politica, la cultura e la società almeno negli ultimi 30 anni.
La maggioranza delle persone nel contesto urbano napoletano vive in abitazioni piccole e affollate
Ci vorrebbero modi semplici e diretti per evitare che la popolazione si senta in stato di abbandono