Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UN MEZZOGIORNO A BANDA LARGA
L’emergenza Coronavirus sta dimostrando quanto siano fallaci alcuni stereotipi e quanto purtroppo siano radicati alcuni divari economici e sociali del Sud. I dati di Google e le rilevazioni dell’Istat fotografano esattamente questo scenario. Ma andiamo con ordine. La settimana scorsa Google ha pubblicato un report mondiale su come è cambiata la mobilità delle persone a causa della pandemia Covid. La Big Tech di Palo Alto ha fatto un lavoro di ricerca partendo dai dati degli utenti che hanno utilizzato la geolocalizzazione tramite Google Maps. L’analisi si è basata su quali posti gli utenti hanno visitato e per quanto tempo nelle ultime settimane, a confronto con gli stessi comportamenti avuti dagli utenti nel periodo di cinque settimane tra gennaio e febbraio.
Ovviamente i dati sono aggregati e resi anonimi per preservare la privacy degli utenti.
Scopriamo così che in Italia la mobilità verso centri commerciali, ristoranti, bar, cinema, negozi è diminuita del 94%; verso farmacie e alimentari -85%; verso parchi pubblici -90%, verso stazioni, bus e metro -87%; verso gli uffici -63%; mentre è aumentata la quota delle persone che sono rimaste a casa +24%. Sono dati impressionanti che confermano che il lockdown in Italia sta funzionando.
Cosa è successo in Campania? Come ci siamo comportati noi ingestibili, indisciplinati, individualisti e allergici alle regole? I dati di Google non mentono: -94% di mobilità verso negozi e centri commerciali; -78% verso farmacie e alimentari; -91% verso parchi pubblici; -89% verso stazioni, bus e metro; -67% verso i luoghi lavoro; +23% i campani che sono rimasti a casa.
Eccetto lievi scostamenti, che possono dipendere da alcuni fattori tra cui provvedimenti nazionali e regionali applicati in tempi e modi diversi, i dati di Google ci confermano che in Campania ci siamo comportati come nel resto dell’Italia e che siamo in stragrande maggioranza restati a casa.
Eppure, restare a casa non è uguale per tutti. Uno striscione appeso su un balcone in Spagna recita così: rendere romantica la quarantena è un privilegio di classe. Difficile non essere d’accordo. Infatti, è possibile lavorare da remoto, seguire le lezioni a distanza, o semplicemente prendersi cura delle proprie relazioni familiari e personali in videoconferenza, solo se si hanno gli strumenti tecnologici adatti, le competenze digitali per usarli e un accesso garantito alla rete. E a guardare le rilevazioni Istat di ieri su spazi in casa e disponibilità per ragazzi e bambini di un computer, si conferma questa impressione.
Nel periodo 2018-2019, il 33,8% delle famiglie non ha un computer o un tablet in casa. Tra le famiglie di soli anziani la percentuale di chi non ha pc o tablet sale al 70,6% mentre scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minorenne. Non è solo una questione anagrafica. Nelle famiglie con almeno un laureato la percentuale di chi non ha un pc o un tablet è solo al 7,7%.
Nel Mezzogiorno 4 famiglie su 10 non hanno pc o tablet con Calabria e Sicilia in testa (rispettivamente 46,0% e 44,4%). Sempre al sud c’è la percentuale più alta di famiglie con un numero di computer insufficiente rispetto al numero di componenti.
Anche sulle competenze digitali degli studenti c’è una ‘questione meridionale’. Dice l’Istat a proposito: ‘dal punto di vista territoriale è abbastanza evidente il gradiente Nord Mezzogiorno, con le regioni del Nord-est che presentano i livelli più elevati su quasi tutte le competenze digitali’.
Se aggiungiamo l’annoso tema del gap nell’accesso alla Banda Larga e alla Banda Ultra Larga tra Nord e Sud e tra aree metropolitane del Sud e aree interne, è evidente che la tecnologia rischia di aggravare le diseguaglianze, piuttosto che superarle.
Una politica seria metterebbe questo punto, cioè il superamento del divario digitale, in cima all’agenda delle priorità post-pandemia. Semmai ne avessimo avuto bisogno, c’è ora l’emergenza Covid a ricordarcene l’urgenza.