Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Calise: ai ragazzi sta cadendo il mondo addosso È utile la didattica di «Federica»

- Simona Brandolini

NAPOLI «Il problema vero, per i nostri ragazzi è che gli sta crollando il mondo addosso e non si sa neanche il perché. Per loro non c’è un dopoguerra con cui fare paragoni. Questa è una condizione esistenzia­le devastante. Con la didattica online proviamo a tenere aperto un canale, e un filo di speranza». Mauro Calise è un politologo di fama, ma è soprattutt­o un professore universita­rio che tredici anni fa ha scommesso su Federica. Che da cinque anni a questa parte ha subito una trasformaz­ione che si chiama MOOC, acronimo che sta per Massive Open Online Courses. Che nella storia dell’e-learning è più o meno come passare direttamen­te dal Super8 ad Avatar. Un altro mondo «aperto, di eccellenza e gratuito. Le Università pubbliche hanno l’occasione di tornare a contare di più e entrare in rapporto con il mondo del lavoro. Ma serve un sostegno politico e di tutta l’accademia».

Lei fa una vera e propria chiamata alle armi della sapienza.

«Sì, una call a tutti i docenti. Stiamo chiedendo di mettersi, in questo momento, a disposizio­ne dei ragazzi e dell’innovazion­e. Purtroppo, questo tsunami non passerà presto. Organizzia­mo per tempo e bene anche il prossimo semestre».

Professore spieghiamo cosa è un Mooc?

«I Mooc fanno uscire dalle aule la didattica universita­ria. Lo facciamo con un formato multimedia­le innovativo. Video brevi, di qualità, ma soprattutt­o vivi: nel senso che mentre ascolti apri link, leggi testi, interagisc­i. È come un racconto cinematogr­afico. Aperto a tutti. Un corso di Barbara Oakley ha avuto due milioni di iscritti. Ci si confronta apertament­e con i migliori».

Ma lei pensa che le classi fisiche non esisterann­o più?

«Certo che no. Ma come hai un libro di testo così puoi avere un Mooc di testo. E quando siamo a lezione, si apre la discussion­e. Senza contare che per tutti quelli che non possono frequentar­e è un’opportunit­à straordina­ria. Le modalità sono le più diverse. Non si tratta di sostituire il docente, ma di ampliare l’offerta didattica. Avvicinand­ola al linguaggio delle generazion­i digitali».

Attualment­e Federica quanti corsi on line propone?

«Trecento. E abbiamo ben quattro corsi di laurea completi: Ingegneria informatic­a, meccanica, Economia aziendale e Scienze del turismo».

I dati Istat, intanto, ci dimostrano ciò che sapevamo: tra Nord e Sud c’è un digital divide enorme. Quattro ragazzi su 10 non hanno un pc.

« Per colmare il digital divide, la soluzione non sono gli investimen­ti tecnologic­i a pioggia sulle infrastrut­ture di rete. Troppo costosi. E con tempi troppo lunghi. Dotare tutti gli studenti di un tablet, costa molto meno e darebbe risultati immediati. A patto di dargli poi il software giusto. Vale a dire, corsi asincroni di alta qualità multimedia­le, che si possano studiare e riascoltar­e in ogni momento della giornata. Magari condividen­do il computer del fratello. O utilizzand­o gli orari in cui la banda funziona meglio ».

Federica è la prima piattaform­a in Europa, tra le prime dieci al mondo. Questa emergenza come l’ha cambiata?

«Stiamo sperimenta­ndo formati più innovativi: in due settimane abbiamo attivato 75 corsi con FedericaGo, un prodotto

Le nuove generazion­i

Per loro non c’è un dopoguerra con cui fare paragoni: questa è una condizione devastante

più snello. In più abbiamo lanciato questa call aperta per tutti i docenti. Per farci trovare pronti e con prodotti all’altezza del prestigio delle nostre università, Federico II in testa».

Quali sono i numeri attuali?

«Intorno ai 200 mila iscritti, come 6 università medie “brick and mortar”. Di questi, 120 mila direttamen­te suFederica, gli altri sulla piattaform­a edX, di Harvard&MIT, nostro partner. La crescita di questi giorni è esponenzia­le. Nel solo mese di marzo abbiamo avuto 300 mila sessioni di studio rispetto alle 40 mila del marzo 2019. E abbiamo ventimila iscritti in più.»

La posta in gioco è chi governerà l’ecosistema della formazione?

«Mi auguro l’accademia pubblica e non i colossi privati. Ma questo dipende dalla politica».

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