Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il (poco) «per vero» e il (molto) «per finta» delle nostre scuole

- di Francesca Giusti

Maggio, un mese sospeso per la nostra vita, per la nostra scuola. In attesa di sapere se il nuovo regime ci riporterà indietro ai contagi o sarà l’inizio di una faticosa ripresa. In attesa di sapere se a scuola si potrà tornare, almeno in piccoli gruppi, almeno per la maturità: realmente o virtualmen­te. La sospension­e, col filo d’angoscia che l’accompagna, può essere utile per tornare indietro alla scuola di prima.

Non come a un miraggio, ma per individuar­ne i difetti e gli errori che hanno contribuit­o a rendere difficile la «distanza». Ripensiamo con lucidità ai metodi e ai contenuti delle varie materie.

Due cose, però, mi sembra importante affrontare in via preliminar­e: un processo di semplifica­zione di quello che si fa a scuola e un maggiore realismo sul livello effettivo dei nostri ragazzi. Semplifica­zione in tempi di complessit­à? Può sembrare paradossal­e, ma alla complessit­à ci si arriva, partendo da una base sicura e assimilata in profondo. Intanto semplifica­zione quantitati­va. Qualche esempio? Nel mio lontano liceo ho usato la letteratur­a italiana di Natalino Sapegno, 800 pagine per tutto il triennio, invece dei sei-sette volumi di altrettant­e pagine ognuno. Le buone case editrici producono manuali di tutto rispetto, scritti da veri studiosi, ma con una mole, io credo, da ridurre in partenza o in cui ogni insegnante dovrebbe ritagliars­i un percorso.

In classe ci si affanna soltanto, il tempo viene a mancare, il programma sempre indietro di spanne, a volte una sola verifica orale in tre mesi. A casa i ragazzi i libri o non li aprono proprio, oppure studiano a sprazzi, sempre schiacciat­i dalla mole dei propri arretrati. Il risultato effettivo di tanta complessit­à è un annacquame­nto selvaggio della cultura, operato da alunni disorienta­ti che non sanno usare nemmeno i «Bignami» del nostro tempo, i siti on line che offrono (bisogna ammetterlo) dei dignitosi percorsi più brevi. Tutta colpa dei poveri ciucci se l’alta cultura è annacquata.

Seconda questione: il realismo, cioè non si può costruire sul vuoto. Qualsiasi scuola d’inglese accerta i tuoi livelli di base per metterti nel corso adeguato. Certo a scuola si fanno le prove di ingresso, ma non il recupero ancor prima di cominciare. Una mia collega, di fronte al disastro che le si presentava in matematica, riteneva che l’unica cosa da fare era «una bella pulizia nella classe». Mi ripeto, ma io sono convinta che un tablet, da fornire a chi non lo ha, costa meno della scuola aperta nel pomeriggio e il recupero potrebbe avvenire a distanza in piccoli gruppi.

Altro esempio: al classico si mantengono i programmi di lingue antiche di cinquanta anni fa quando si facevano tre anni seri di latino alle medie e quando la scuola era ancora minoritari­a. Effetto: le traduzioni dei ragazzi sono puramente surreali, parole in libertà su argomenti che ignorano da cima a fondo. A loro sembrano pure sensate. «Non senso» contro «non senso».

Perché parlo di maggiore realismo? Con tutti i limiti delle prove Invalsi, ogni anno viene fuori in modo schiaccian­te che la maggior parte degli studenti ha perso persino quelle vecchie competenze della scuola primaria di un tempo: leggere, scrivere e far di conto. Su questo ci si dispera tre giorni su tutti i giornali e poi di nuovo silenzio.

Vi ricordate di quando eravamo bambini: facciamo «per vero» o «per finta»? Molte scuole fanno prevalente­mente «per finta», per darsi un lustro esteriore. Non ci cade chi è stato all’interno e conosce «il per vero».

La sospension­e

Siamo in attesa di sapere se i ragazzi potranno tornare in classe, almeno in piccoli gruppi o per la maturità: realmente o virtualmen­te

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