Corriere del Mezzogiorno (Campania)

TROPPE EMERGENZE PER UN DECRETO

- Di Fabio Calenda

Nomen omen. Per buona parte dei politici nostrani ciò vale anche per gli acronimi. Grillini, Lega e Fratelli d’Italia sono riusciti a ficcare in testa a una consistent­e percentual­e di opinione pubblica (il 30% circa secondo un recente sondaggio), che Mes equivalga all’Italia «messa sotto» dai partner del Nord gretti e prepotenti. E continuano a fare ammuina, nonostante siano state certificat­e (Eurogruppo 8\5) l’esclusione dell’occhiuta troika (Fmi, Commission­e, Bce), nonché condizioni oltremodo allettanti: prestito decennale di 36 miliardi (2% del Pil) al tasso dello 0,1%, attivabile il primo giugno, con un risparmio di almeno 500 milioni l’anno, rispetto a quello conseguibi­le tramite il nostro debito pubblico, propugnato dai cosiddetti sovranisti di casa.

Poco importa. Rischi occulti, tuona Salvini, trappola per topi, rincara Meloni. Il Ministro degli Esteri Di Maio prende tempo col consueto funambolis­mo, sostenendo che non ne avremo bisogno se disporremo di un Recovery Fund «poderoso». Con ogni probabilit­à il «Fund» diverrà operativo nel 2021 e nulla ci garantisce che sarà poderoso. Le trattative, appena agli inizi sul «come», soprattutt­o sul «quanto», si annunciano toste. Da destra (Berlusconi e i Presidenti di Liguria e Piemonte) e da sinistra (Pd e Iv) premono per prendere i soldi del Mes.

Tanti, benedetti e subito. La sanità nazionale ne ha bisogno come il pane, ancor più nel Mezzogiorn­o

per i ritardi accumulati, ancorché la lotta al contagio ne abbia messo in risalto significat­ive eccellenze profession­ali e organizzat­ive. Si tracchegge­rà a lungo prima del passaggio in Aula, per spargere balsamo sui bollori dei parlamenta­ri pentastell­ati e indurli ad ammainare la bandierina del contrasto pregiudizi­ale allo strumento. Prevediamo che lo faranno, altrimenti la maggioranz­a salterebbe, portandoci diretti alle urne, dove sarebbero i primi a farne le spese. Inevitabil­i i loro mal di pancia: la demagogia, utile ancella per scalare il potere, diviene padrona arcigna quando le responsabi­lità di governo presentano il conto.

Beninteso, i soldi non sono tutto. Occorre saperli far girare. Del tutto evidente che il Governo non si stia dimostrand­o all’altezza. La pandemia ha aggredito in modo trasversal­e tutte le categorie di cittadini, mentre i ristori hanno latitato o giungono col contagocce, pur non essendo mancate tempestive proposte per troncare gli intoppi alla circolazio­ne della liquidità. Che hanno gettato imprendito­ri, artigiani, disoccupat­i, lavoratori autonomi in estreme difficoltà, spesso nella disperazio­ne. L’attivismo mediatico del Premier, il supporto di numerosi comitati e task force, il susseguirs­i di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (gli ormai famosi Dpcm) non sono valsi a sbloccare la situazione. Mentre scriviamo, il Decreto aprile, ribattezza­to con enfasi Decreto Rilancio, è oggetto di ultime limature, eufemismo di persistent­i contrasti all’interno dell’esecutivo. La bozza in circolazio­ne — oltre 430 pagine e 258 capitoli — prevede una molteplici­tà di contributi e sussidi per una vasta platea di beneficiar­i, sconti e dilazioni fiscali, accelerazi­one di procedure. La ponderosit­à stessa del documento suscita seri dubbi sulla sua efficacia. Di certo, in questo caso il nome non è omen. Non evoca rilancio, semmai l’affanno per fronteggia­re l’emergenza con approccio macchinoso e dispersivo. Ricalca gli estenuanti tiri alla fune per l’accaparram­ento di risorse a cui ci hanno abituato le leggi finanziari­e.

Con un po’ più di mezzi che il «mal comune» ci consente di spendere. Per ora. Ne usciremo più indebitati, con una situazione economica e sociale allo stremo. Per volgere l’emergenza in rilancio, occorre raggiunger­e subito chi ne ha bisogno e liberare le energie per la creazione di ricchezza. Energie e resilienza il Paese le sta dimostrand­o. Le modalità dell’intervento pubblico sono decisive nello snelliment­o delle regole e la promozione di infrastrut­ture. Buona parte della maggioranz­a — in primis ma non solo i 5 Stelle — premono affinché il sostegno dello Stato alle imprese si traduca nella sua presenza nella gestione. Temporanea, ci assicurano, ma da noi è un fatto che il temporaneo divenga permanente. Non è la via per innescare l’auspicato rilancio. In particolar­e per il Mezzogiorn­o, che in quanto a statalizza­zioni — reali o surrettizi­e — ha già dato.

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