Corriere del Mezzogiorno (Campania)
TROPPE EMERGENZE PER UN DECRETO
Nomen omen. Per buona parte dei politici nostrani ciò vale anche per gli acronimi. Grillini, Lega e Fratelli d’Italia sono riusciti a ficcare in testa a una consistente percentuale di opinione pubblica (il 30% circa secondo un recente sondaggio), che Mes equivalga all’Italia «messa sotto» dai partner del Nord gretti e prepotenti. E continuano a fare ammuina, nonostante siano state certificate (Eurogruppo 8\5) l’esclusione dell’occhiuta troika (Fmi, Commissione, Bce), nonché condizioni oltremodo allettanti: prestito decennale di 36 miliardi (2% del Pil) al tasso dello 0,1%, attivabile il primo giugno, con un risparmio di almeno 500 milioni l’anno, rispetto a quello conseguibile tramite il nostro debito pubblico, propugnato dai cosiddetti sovranisti di casa.
Poco importa. Rischi occulti, tuona Salvini, trappola per topi, rincara Meloni. Il Ministro degli Esteri Di Maio prende tempo col consueto funambolismo, sostenendo che non ne avremo bisogno se disporremo di un Recovery Fund «poderoso». Con ogni probabilità il «Fund» diverrà operativo nel 2021 e nulla ci garantisce che sarà poderoso. Le trattative, appena agli inizi sul «come», soprattutto sul «quanto», si annunciano toste. Da destra (Berlusconi e i Presidenti di Liguria e Piemonte) e da sinistra (Pd e Iv) premono per prendere i soldi del Mes.
Tanti, benedetti e subito. La sanità nazionale ne ha bisogno come il pane, ancor più nel Mezzogiorno
per i ritardi accumulati, ancorché la lotta al contagio ne abbia messo in risalto significative eccellenze professionali e organizzative. Si traccheggerà a lungo prima del passaggio in Aula, per spargere balsamo sui bollori dei parlamentari pentastellati e indurli ad ammainare la bandierina del contrasto pregiudiziale allo strumento. Prevediamo che lo faranno, altrimenti la maggioranza salterebbe, portandoci diretti alle urne, dove sarebbero i primi a farne le spese. Inevitabili i loro mal di pancia: la demagogia, utile ancella per scalare il potere, diviene padrona arcigna quando le responsabilità di governo presentano il conto.
Beninteso, i soldi non sono tutto. Occorre saperli far girare. Del tutto evidente che il Governo non si stia dimostrando all’altezza. La pandemia ha aggredito in modo trasversale tutte le categorie di cittadini, mentre i ristori hanno latitato o giungono col contagocce, pur non essendo mancate tempestive proposte per troncare gli intoppi alla circolazione della liquidità. Che hanno gettato imprenditori, artigiani, disoccupati, lavoratori autonomi in estreme difficoltà, spesso nella disperazione. L’attivismo mediatico del Premier, il supporto di numerosi comitati e task force, il susseguirsi di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (gli ormai famosi Dpcm) non sono valsi a sbloccare la situazione. Mentre scriviamo, il Decreto aprile, ribattezzato con enfasi Decreto Rilancio, è oggetto di ultime limature, eufemismo di persistenti contrasti all’interno dell’esecutivo. La bozza in circolazione — oltre 430 pagine e 258 capitoli — prevede una molteplicità di contributi e sussidi per una vasta platea di beneficiari, sconti e dilazioni fiscali, accelerazione di procedure. La ponderosità stessa del documento suscita seri dubbi sulla sua efficacia. Di certo, in questo caso il nome non è omen. Non evoca rilancio, semmai l’affanno per fronteggiare l’emergenza con approccio macchinoso e dispersivo. Ricalca gli estenuanti tiri alla fune per l’accaparramento di risorse a cui ci hanno abituato le leggi finanziarie.
Con un po’ più di mezzi che il «mal comune» ci consente di spendere. Per ora. Ne usciremo più indebitati, con una situazione economica e sociale allo stremo. Per volgere l’emergenza in rilancio, occorre raggiungere subito chi ne ha bisogno e liberare le energie per la creazione di ricchezza. Energie e resilienza il Paese le sta dimostrando. Le modalità dell’intervento pubblico sono decisive nello snellimento delle regole e la promozione di infrastrutture. Buona parte della maggioranza — in primis ma non solo i 5 Stelle — premono affinché il sostegno dello Stato alle imprese si traduca nella sua presenza nella gestione. Temporanea, ci assicurano, ma da noi è un fatto che il temporaneo divenga permanente. Non è la via per innescare l’auspicato rilancio. In particolare per il Mezzogiorno, che in quanto a statalizzazioni — reali o surrettizie — ha già dato.