Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Isabelle, Marta e l’amore assoluto
Marzo 2020, l’anno bisestile e ostile. Valerio è un romanziere. L’atto della scrittura si addice come nient’altro a un solitario come lui, che diffida degli altri non avendo fiducia in se stesso. Per di più è egocentrico e indolente come un gatto: uno di quegli esemplari con una mascherina sul muso fin dalla nascita. La quarantena di Marzo rende il suo superbo isolamento un po’ meno eccezionale; ora la sua condizione è quella di chiunque (che sfregio per il suo Ego!). A questo inconveniente se ne somma un altro: scopre di aver esaurito l’ultima risma di carta. La carta è la sua materia prima, ora lui non può rifornirsene. Siamo a Marzo, il picco del contagio. Quando perfino le grandi piattaforme del commercio on line contingentano le consegne a poche merci vitali. La ridarella nervosa di Valerio... Le sue prime stesure sono sempre a penna; vengono riversate in computer soltanto alla seconda, terza redazione. Un blocco psichico, insuperabile. Così Valerio non può che ingegnarsi a rovistare in mezzo ai vecchi taccuini. Prova a rintracciare e staccare eventuali pagine rimaste bianche, per arrangiarsi con quelle. Il potere della rimozione: l’aveva completamente dimenticato questo notes dalla brutta copertina fluo. È per la sua grafica antiestetica che la memoria gliene ha censurato il ricordo?
Boh...Valerio si stringe nelle spalle come fa, noncurante, quando lo smartphone gli consegna i messaggi assillanti di Marta, i suoi vocali in pena, le sue chiamate a vuoto.
Adesso Valerio ha incombenze più pressanti: procacciarsi facciate bianche, pulite. Valerio inizia a sfogliarlo guardingo, questo notes riempito fitto dalla sua grafia, simile a zampe di uccelli sulla sabbia. Non è però lo sforzo di decrittazione a trasmettergli un sottile disagio. È quanto ha scritto: rifacimenti, dialoghi, schede dei personaggi, una ventina di scene sparse. L’embrione di un romanzo abortito. Valerio ha una smorfia: proprio meritava di non venire al mondo, quel testo? Una storia in costume, ottocentesca. Avrebbe voluto intitolarla «Fuggitiva e straniera». La protagonista lui l’aveva battezzata Isabelle. Una creatura di fantasia ispirata da una figura esistita: Adèle, la figlia di Victor Hugo.
Lui, l’autore, seguiva Isabelle nelle sue peregrinazioni per il continente. Nel suo rincorrere fra strapazzi e disillusioni gli spostamenti di un uomo che non ricambiava, in alcun modo, la passione senza speranza di lei (il protagonista maschile: una figura onnipresente ma tenuta sullo sfondo; un’assenza che non prendeva mai corpo nel testo).
Il centro fisso della storia rimaneva in ogni caso Isabelle, con il suo errare da un paese all’altro sulla scia di un errore. Isabelle e quell’ossessione amorosa che, a metà Ottocento, la induceva a comportamenti inusitati per la sua epoca. Primo fra tutti il viaggiare – lei, una giovane donna! - da sola. «Fuggitiva e straniera», per l’appunto.
Sfogliando il brutto notes dalla copertina fluo, a Valerio sembra di scorgere per la prima volta il nocciolo di quella storia incompiuta (per la protagonista quanto per l’autore). Il nocciolo: l’enormità del sentimento che, come un dio selvaggio, aveva invaso Isabelle. La Passione che trascende il suo oggetto. La passione di Isabelle Macquart: un oceano sconfinato e in burrasca, soprastante un abisso senza fondo in cui non è dato a nessuno di scrutare («meno che mai a un egotista come me», riconosce Valerio). La Passione totalizzante, sulla quale lui può solo elaborare congetture, tessere metafore. Il dio selvaggio, appunto. L’oceano che non offre approdi. Un’energia senza controllo, né ragione, né ragioni, in fondo; eppure capace di farti mettere a repentaglio incolumità, serenità, legami familiari. La dignità perfino, quella a cui il contegnoso Valerio tiene così tanto... Con un lieve sorriso di compiacimento, Valerio si abbandona alla lettura del primo capitolo, dopo aver silenziato la smartphone. Quindi anche Marta e l’invadenza delle sue premure, il tono ansioso e assillante dei suoi messaggini. Il primo capitolo: l’arrivo di Isabelle a Napoli, dove l’amato si è stabilito da poco.
Lei appena sbarcata dal postale, il vento gelido di grecale che spazza il Largo del Castello. Gli stracci della ragazzaglia che svolazzano intorno all’unica passeggera disorientata, se ne contendono il poco bagaglio. Uno sfarfallio di nevischio eccita i ragazzi e i cani, danza intorno al volto e agli occhi divoranti di Isabelle...
Valerio scolla una superstite pagina bianca dal notes. Dalla strada sale il silenzio della quarantena tassativa di Marzo. Perché quell’embrione di storia non ha avuto la forza di diventare «Fuggitiva e straniera»? Eppure l’enormità del desiderio di Isabelle lui l’aveva resa con una certa vividezza. Probabilmente, riflette, si era bloccato davanti a un altro scoglio. Davanti al dover rappresentare la freddezza elusiva, l’inesorabile volontà di respingere messa in mostra dall’uomo amato, da quel personaggio che lui aveva di fatto lasciato senza volto. Ecco, ci siamo. Ogni fallimento ha la sua causa specifica e personale. Il blocco dello scrittore è davvero una banalità.
Una donna ha iniziato il suo solitario, sulla penisola della cucina. Mette giù e dispone le carte, pronta come sempre a giocarsi tutte le sue carte fino in fondo. Le mani diafane, i polsi sottili con cui Marta governa dei gesti pensierosi, da indovina. Non si tratta di un gioco: siamo a Marzo, al culmine del contagio. Marta è persuasa che, se l’incastro del solitario riuscirà, Valerio uscirà incolume dall’epidemia. Marta lo ha stabilito con il suo amore indomito, quello stesso che la rende inattaccabile dal disinteresse, dalle contromosse sfuggenti di Valerio. Elusioni che Marta considera perfino con una certa indulgenza. Lui non sa, indossa ancora la maschera di chi non ama; quindi è come un ragazzino. Marta, viceversa, è una donna a cui l’amore quadruplica le forze. Quindi è capace di graffiare il vetro con le unghie, di incidervi quei messaggi che Valerio non potrà non leggere. L’ultimo riguarderà il pronostico con le carte, il suo esito fausto. Le carte del solitario si sono incastrate alla perfezione. Le dita di Marta volano sulla tastiera dello smartphone, deve comunicare a Valerio la buona notizia. Lui è così impressionabile. Per questo ometterà di dirgli che, per la prima volta in vita sua, lei ha barato.
La Passione totalizzante, sulla quale lui può solo elaborare congetture, tessere metafore Il dio selvaggio, appunto. L’oceano che non offre approdi Un’energia senza controllo, né ragione, né ragioni, in fondo; eppure capace di farti mettere a repentaglio incolumità, serenità, legami familiari