Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Di Mare e Orfeo I gemelli diversi di una Napoli non da cartolina
Mettiamo da parte ogni valutazione politica o partitica, perché qui non ci interessa. E nemmeno si vuole aprire un fronte sul punto del «genere» maschile o femminile. Perché vale la pena di riflettere sul fatto che, per la prima volta nella storia della Rai, un importante comparto della tv pubblica si è «napoletanizzato»: Rai 3, la rete generalista che deve la sua impronta più importante ad Angelo Guglielmi, è da due giorni diretta da Franco Di Mare.
Mentre il Tg3, che nella memoria collettiva di tanti porta il volto di Sandro Curzi, ha ora come responsabile Mario Orfeo.
Una coincidenza che non riguarda solo il «colore giornalistico» tipico delle tornate di nomine di viale Mazzini. Napoli significa la grande Capitale del Sud del nostro Paese: due direttori che hanno qui le loro radici incarnano sicuramente una identità culturale destinata a incidere sulle scelte, sulle sensibilità, sugli indirizzi, sulla comprensione dei fenomeni sociali ed economici.
Chiunque conosca Franco Di Mare attraverso il suo lavoro, o per qualche chiacchierata tra amici e colleghi, sa
bene della sua infanzia trascorsa sulla spiaggia di Posillipo, come rampollo (è nato nel 1955) di una di quelle antiche famiglie di ostricai, che nei secoli hanno vissuto raccogliendo e allevando frutti di mare e soprattutto ostriche da servire come alimenti crudi. Il bisnonno, grande pescatore, fu anche uno dei primi esperti subacquei d’Italia. Il nonno aveva il banco di frutti di mare da Ciro a Mergellina. Splendida tradizione sepolta dalla contemporaneità, un immenso valore aggiunto di un mare meraviglioso e ricco di rinvii. Di Mare viveva a Villa Quercia, qualche passo ed era in acqua. Da piccolo, grazie al padre, lesse «Addio alle armi» di Hemingway. E lì scattò la passione per un giornalismo ad alto rischio, lontano dai riti della politica e soprattutto dei salotti, ovvero il racconto delle guerre con eccellenti reportage televisivi, indimenticabili e apprezzati non solo in Italia, un vero marchio della Rai.
Anche qui appare trasparente il legame con Napoli, con una storia fatta di continue occupazioni, di rivolte, di gloriose rivoluzioni, fino alla più recente Resistenza al nazifascismo. Non è un caso che la trasmissione curata ora da Franco Di Mare si intitoli «Frontiere», su Raiuno: Napoli è sempre stata, e resta, una magnifica, complessa frontiera.
Mario Orfeo, classe 1966, è napoletano esattamente come Franco Di Mare ma la sua storia, proprio come il carattere e come la generazione dei due uomini, è diversa. Orfeo ha alle spalle un’adolescenza vissuta nel prestigioso liceo classico Pontano dei padri gesuiti in Corso Vittorio Emanuele, una istituzione napoletana che affonda le sue radici nella fondazione nel 1552 e poi, dopo l’Unità d’Italia, nel nuovo assetto preso nel 1876. Le parole d’ordine sono note a chiunque abbia studiato in una qualsiasi scuola retta dai gesuiti: rigore, disciplina, metodo ma anche spiritualità, propensione al lavoro di gruppo, condivisione delle esperienze, mai inutili protagonismi. Mario Orfeo ha mosso i primi passi da cronista a «Napolinotte», poi l’esperienza al «Giornale di Napoli», quindi il desk dell’edizione locale de «La Repubblica». Da lì il «salto» al servizio politico a Roma, ed ecco la direzione de «Il Mattino», per sette anni. Quando la lasciò, nel 2009, rivendicò di aver diretto il giornale «con umiltà, orgoglio, senso di appartenenza»: riecco l’insegnamento dei gesuiti, ovvero quell’essere napoletano ma intriso del metodo di Ignazio di Loyola.
Ora arriva la direzione del Tg3 e Orfeo può vantare un record difficile da battere: è l’unico giornalista ad aver ricoperto, all’interno della Rai, la carica di Direttore generale, poi di direttore del Tg1, del Tg2 e ora del Tg3. Ieri il direttore Enzo d’Errico ironizzava: Telekabul non diventerà Teleposillipo. Conoscendo Mario Orfeo e la sua storia professionale, tutto potrà accadere tranne che questo.
Ma riguardando le due biografie c’è da augurarsi che Di Mare e Orfeo riescano a mostrare il volto di Napoli più colto, più «italiano» nel senso migliore del termine, più contemporaneo. E anche più libero.