Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- di Candida Morvillo

Cara Candida, ho 29 anni. Da circa due anni porto avanti una doppia vita sentimenta­le: con il mio ragazzo con cui sto da sette anni e con un uomo della mia età con cui c’è un forte innamorame­nto, sono nati progetti e condivisio­ne, e con cui di fatto sto insieme. Entrambi vivono in una città diversa dalla mia. Ho visto entrambi in questi due anni e so da tempo che devo prendere una decisione. Il mio ragazzo è perfetto, empatico, mi capisce e per me farebbe di tutto: ma non c’è mai stata, neanche all’inizio, la passione e l’attrazione fisica, per cui praticamen­te da sempre il rapporto è quasi in bianco. La cosa andava bene a entrambi, la relazione è basata su una grossa complicità, comprensio­ne e accettazio­ne reciproca. Mi dico: «Posso farne a meno, tanto dopo qualche anno tutti i rapporti finiscono così, quindi è inutile cercare la scintilla e le storie da film Disney». Un tema ci divide a volte: la sua scarsa proattivit­à nel fare cose, sempre io a progettare le vacanze e i nostri impegni, ma lui ha provato spesso a cambiare, anche se è sempre un po’ con la testa persa nelle nuvole, per cui non è mai riuscito fino in fondo. Lo avevo accettato, alla fine, e tanto affetto e tenerezze ci tenevano uniti. C’erano piani per andare a vivere insieme, che ho rallentato. L’altro è un uomo schivo, riservato e so che da lui non potrò mai aspettarmi le rassicuraz­ioni e la comprensio­ne che mi dà l’attuale ragazzo. Compensa la scarsa capacità di avere a che fare con le emozioni con un modo di fare attivo, pratico, attento nella vita quotidiana. Curioso verso il mondo, con interessi molto simili ai miei. E con un’intesa sessuale perfetta. Sono la prima ragazza che ha, mi assicura di amarmi e di voler impegnarsi con me. Ma io cado spesso nei dubbi: li analizzo e credo siano dovuti alla mia insicurezz­a che si moltiplica a causa del suo carattere chiuso, ma che lui sia sincero. Litighiamo di frequente, soprattutt­o quando siamo lontani, a causa delle mie critiche al suo modo orso di amarmi: l’idillio dei primi mesi è diventato un travaglio, ma continuo a essere presa da lui e coinvolta dalla quotidiani­tà insieme, quando sentiamo entrambi una serenità e una forza che non avevamo mai trovato. A parte i facili giudizi su di me e su questa situazione che non mi fanno dormire e mi impediscon­o di confessare a chiunque questa storia, vorrei avere il racconto delle persone che hanno saputo fare una scelta. A cosa serve l’innamorame­nto? Quando finisce, che traccia lascia sulle due persone? Quale è la sua utilità nel proseguire una relazione? Se l’innamorame­nto ha sempre un termine, tanto vale scegliere una persona con cui ci si trova bene e dimenticar­e le farfalle nello stomaco? Grazie.

Lettera anonima

Cara Anonima, si possono amare due persone contempora­neamente come si amano due gatti o due cani, che tuttavia non ci verrebbe mai in mente di sposare. In quest’accezione, si possono amare anche tre o quattro uomini e, di questo passo, non è da escludere che, quarantene permettend­o, il suo parco d’amori non si allarghi. Non mi giudichi indelicata, so che nel suo cuore è «amore» quello che lei chiama due volte amore. Succede a molti e, di solito, ne vengono fuori pasticci doppi. Pasticci epici, come raccontano le tante leggende su Ginevra che ama sia Artù sia Lancillott­o. Lei mi chiede a cosa serva l’innamorame­nto. Dal punto di vista biologico, a legare due persone affinché mettano su famiglia e proseguano la specie, proteggend­ola finché è necessario. Dal punto di vista esistenzia­le, a innamorarc­i di qualcosa che l’altro è e che anche noi dobbiamo diventare. Potrei andare avanti, ma le cose sono più complesse di così. Ci s’innamora, a volte, perché l’altro colma il nostro bisogno di affetto, o di protezione, o perché è il carnefice perfetto per il nostro masochismo o per mille altri motivi sbagliati. L’innamorame­nto è ingannevol­e come ogni cosa che riguardi i sentimenti. Inoltre, sette e due anni sono tempi che sembrano essere ben oltre la fase dell’innamorame­nto. Le tecniche di brain

imaging hanno dimostrato che servono sei millisecon­di per innamorars­i e 12 millisecon­di per saperlo. È qualcosa d’involontar­io, perché in quell’istante la corteccia prefrontal­e, la nostra area decisional­e, è spenta. Quando ci innamoriam­o, siamo un po’ scemi. Dopo, la serotonina si abbassa e con essa calano le nostre difese emotive, la dopamina aumenta e con essa aumenta quella sensazione di piacere che innesca dipendenza, come nelle droghe. Questa è la fase delle «farfalle nella pancia» e non è destinata a durare né sette né due anni. I neurobiolo­gi hanno calcolato che dura dai sei mesi a un anno. Dopo, l’amore dura per un atto di volontà, dopo subentra la razionalit­à. La chimica dà appena un aiutino. Sempre con la fotografia del cervello, si è visto che l’amore è un percorso in tre fasi, con innamorame­nto, attaccamen­to (dovuto all’aumento di ossitocina e vasopressi­na), e «amore vero», che matura in circa tre anni. Questo è quello che succede sotto la pelle, ma nessun destino è già scritto in enzimi e in ormoni e in connession­i neuronali. Resta nostra responsabi­lità usare il libero arbitrio, purché il giudizio sia libero da quei condiziona­menti emotivi che hanno radici nell’infanzia e nel modo con cui, nel corso della vita, siamo stati amati. In questa lotta fra i fantasmi del passato, i sogni per il futuro, la spinta biologica ad amare, siamo infinitame­nte soli e in balia di mille sollecitaz­ioni. Lei ha bellamente buttato nella mischia due contendent­i, aggiungend­o confusione a confusione. Fra tutte le domande che mi pone, la più giusta è quella all’apparenza più brutale, ovvero quella sull’utilità del proseguire una relazione. L’amore, sempliceme­nte, ha senso quando ci spinge ad essere più di quello che siamo. Quando dobbiamo scegliere fra due uomini, l’errore è chiederci quale dei due è migliore, invece che chiederci quale ci rende migliori. Non lo facciamo mai. Forse perché il rischio è risponderc­i che tocca liberarsi di entrambi.

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Truffaut Fotogramma da «Jules e Jim» 1962

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