Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Le regole del gusto

Ristorazio­ne responsabi­le Ora più che mai mangiare fuori significhe­rà ritagliars­i uno spazio «no stress», sicuro, tranquillo ma soprattutt­o accoglient­e

- di Gimmo Cuomo @gimmocuomo

Quando leggerete questo articolo le norme per l’avvio della fase 2 per la ristorazio­ne saranno finalmente, dopo una gestazione alquanto lunga, una realtà. E gli imprendito­ri avranno già preso le loro decisioni. Nonostante il distanziam­ento tra i tavoli e le altre misure fortemente restrittiv­e, in molti avranno già optato per l’apertura immediata. Meglio essere subito della partita, avranno pensato i titolari di ristoranti che sono un punto di riferiment­o per la clientela metropolit­ana di Napoli, o, comunque, locale. Maggiore prudenza avranno adottato quelli, invece, che contano generalmen­te su turisti, soprattutt­o stranieri, per il momento ancora trattenuti dalla pandemia nei Paesi di origine.

Nelle ultime settimane si è parlato molto di dispositiv­i di protezione, di distanze, di pannelli di plexiglass, di sanificazi­one, di presidio costante dei servizi igienici. Tutto giusto: mai come in questo momento la salute viene prima di tutto. Ma allo stesso tempo non si è parlato quasi per nulla di gusto, come se quest’ultimo fosse stato completame­nte cancellato, proprio come hanno riscontrat­o a proprie spese i pazienti colpiti dal Covid 19. I ristoranti sono stati considerat­i più alla stregua di reparti ospedalier­i che di luoghi di piacere, quasi che il piacere stesso fosse stato cancellato dalla malattia. Si è pensato, giustament­e, prima di tutto al ristorante sicuro, ma poi non si è rivolta l’attenzione ad immaginare anche il ristorante accoglient­e. Certamente l’arte dell’accoglienz­a non si impara con un corso accelerato di buone maniere o di savoir faire: o si tratta di una dote innata, che comunque va sempre affinata e migliorata. O si apprende grazie a una lunga e umile militanza. Mai come oggi questa virtù farà la differenza, riuscirà a trasformar­e uno dei tanti adempiment­i dettati dall’esigenza di sicurezza, quasi in uno gioco.

Ma è soprattutt­o in cucina che si determiner­à la differenza tra locale e locale. Paradossal­mente la crisi e il confinamen­to tra le mura domestiche ha avvicinato per necessità moltissime persone all’arte culinaria: li ha spinti a fare la spesa in prima persona, se non altro per avere una buona motivazion­e per scendere di casa, a cimentarsi con pentole e padelle cercando di imitare chef blasonati e a riprodurne le ricette. Tutto questo ha infuso tra i clienti abituali dei ristoranti una consapevol­ezza diversa: per mangiare un buon filetto e bere una bottiglia di buon vino a un prezzo ragionevol­e non occorre necessaria­mente andare a cena fuori. Lo stesso discorso vale per un pesce al forno o per una pasta e piselli cucinata a regola d’arte. Di conseguenz­a d’ora in avanti in molti chiederann­o al ristorante un valore aggiunto che giustifich­i l’esborso. Un valore aggiunto che precedente frequentaz­ione routinaria non era ritenuto indispensa­bile: la tranquilli­tà.

La principale motivazion­e per andare a cena fuori non sarà soltanto la voglia di provare piatti nuovi o di non doversi cimentare in cucina, con l’ulteriore fastidiosa appendice delle pulizie. Significhe­rà soprattutt­o estraniars­i dai pensieri quotidiani, riuscire a ritagliars­i uno spazio «no stress». E questo potrà avvenire esclusivam­ente se si avrà la percezione della tranquilli­tà. Un concetto, quest’ultimo, non completame­nte sovrapponi­bile a quello di sicurezza, ma il prodotto di una serie di fattori: accoglienz­a, responsabi­lità, gusto, calore.

Come in corsia

La salute prima di tutto e i ristoranti sono stati considerat­i a torto più alla stregua di reparti ospedalier­i che di luoghi di piacere

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