Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le regole del gusto
Ristorazione responsabile Ora più che mai mangiare fuori significherà ritagliarsi uno spazio «no stress», sicuro, tranquillo ma soprattutto accogliente
Quando leggerete questo articolo le norme per l’avvio della fase 2 per la ristorazione saranno finalmente, dopo una gestazione alquanto lunga, una realtà. E gli imprenditori avranno già preso le loro decisioni. Nonostante il distanziamento tra i tavoli e le altre misure fortemente restrittive, in molti avranno già optato per l’apertura immediata. Meglio essere subito della partita, avranno pensato i titolari di ristoranti che sono un punto di riferimento per la clientela metropolitana di Napoli, o, comunque, locale. Maggiore prudenza avranno adottato quelli, invece, che contano generalmente su turisti, soprattutto stranieri, per il momento ancora trattenuti dalla pandemia nei Paesi di origine.
Nelle ultime settimane si è parlato molto di dispositivi di protezione, di distanze, di pannelli di plexiglass, di sanificazione, di presidio costante dei servizi igienici. Tutto giusto: mai come in questo momento la salute viene prima di tutto. Ma allo stesso tempo non si è parlato quasi per nulla di gusto, come se quest’ultimo fosse stato completamente cancellato, proprio come hanno riscontrato a proprie spese i pazienti colpiti dal Covid 19. I ristoranti sono stati considerati più alla stregua di reparti ospedalieri che di luoghi di piacere, quasi che il piacere stesso fosse stato cancellato dalla malattia. Si è pensato, giustamente, prima di tutto al ristorante sicuro, ma poi non si è rivolta l’attenzione ad immaginare anche il ristorante accogliente. Certamente l’arte dell’accoglienza non si impara con un corso accelerato di buone maniere o di savoir faire: o si tratta di una dote innata, che comunque va sempre affinata e migliorata. O si apprende grazie a una lunga e umile militanza. Mai come oggi questa virtù farà la differenza, riuscirà a trasformare uno dei tanti adempimenti dettati dall’esigenza di sicurezza, quasi in uno gioco.
Ma è soprattutto in cucina che si determinerà la differenza tra locale e locale. Paradossalmente la crisi e il confinamento tra le mura domestiche ha avvicinato per necessità moltissime persone all’arte culinaria: li ha spinti a fare la spesa in prima persona, se non altro per avere una buona motivazione per scendere di casa, a cimentarsi con pentole e padelle cercando di imitare chef blasonati e a riprodurne le ricette. Tutto questo ha infuso tra i clienti abituali dei ristoranti una consapevolezza diversa: per mangiare un buon filetto e bere una bottiglia di buon vino a un prezzo ragionevole non occorre necessariamente andare a cena fuori. Lo stesso discorso vale per un pesce al forno o per una pasta e piselli cucinata a regola d’arte. Di conseguenza d’ora in avanti in molti chiederanno al ristorante un valore aggiunto che giustifichi l’esborso. Un valore aggiunto che precedente frequentazione routinaria non era ritenuto indispensabile: la tranquillità.
La principale motivazione per andare a cena fuori non sarà soltanto la voglia di provare piatti nuovi o di non doversi cimentare in cucina, con l’ulteriore fastidiosa appendice delle pulizie. Significherà soprattutto estraniarsi dai pensieri quotidiani, riuscire a ritagliarsi uno spazio «no stress». E questo potrà avvenire esclusivamente se si avrà la percezione della tranquillità. Un concetto, quest’ultimo, non completamente sovrapponibile a quello di sicurezza, ma il prodotto di una serie di fattori: accoglienza, responsabilità, gusto, calore.
Come in corsia
La salute prima di tutto e i ristoranti sono stati considerati a torto più alla stregua di reparti ospedalieri che di luoghi di piacere