Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Anticrisi: «Ricalcolare i fitti e procrastinare la cassa integrazione»
Il pizzaiolo cosmopolita, volto noto della tv: uniti e attenendoci alle regole forse riusciremo a salvare la stagione
«Non vedo l’ora che arrivi questo benedetto giovedì, ma partiamo dal presupposto che tutto ciò che ci è stato concesso è frutto di un gran lavoro fatto di concerto fra noi e le istituzioni. Dai divieti alle prime riaperture per delivery e asporto, tutto è stato concertato nel nome della sicurezza dei nostri clienti e ci ha aiutato a salvarci».
Gino Sorbillo, pizzaiolo cosmopolita, titolare di esercizi dall’America al Giappone, volto noto in tv, uno di quelli che «piace alla gente che piace», ma spesso anche contestatore in nome dei diritti (non solo della sua categoria) è oggi uno dei paladini della riapertura, attenendosi scrupolosamente alle prescrizioni nazionali e regionali sulla sicurezza».
Ma non era uno dei quelli che protestavano in tv per riaprire subito minacciando il fallimento di un intero settore?
«La mia presenza in tv non era perché tutto tornasse subito come prima, anzi, era volta a riprendere il delivery quando mi era permesso a Milano e a Roma ma non in Campania. Il mio appello era in favore di tutti, delle pizzerie, come delle paninoteche, dei sushi restaurant e delle pasticcerie. Per le altre direttive ho sempre condiviso gli appelli del governatore trasmettendoli sempre ad amici e colleghi».
Poi non avete aperto tutti subito, perché?
«In tanti avevamo bisogno di più giorni per adeguarci. All’epoca, oltre a mascherine e guanti, ci volevano tute monouso, copriscarpe, indumenti di cui dopo pochi giorni non ci fu più bisogno. Ci siamo sentiti tra colleghi e in quel momento alcuni di noi non hanno avuto i tempi giusti per dotarsene. Ora è diverso. I problemi, comunque, non sono le prescrizioni per la sicurezza, ma la cassa integrazione dei dipendenti (mai partita) o i fitti dei locali per chi non è proprietario».
Lei è un pizzaiolo noto, di quelli con tanti spazi a sua disposizione. Che ne sarà di quelli cosiddetti piccoli, con un bugigattolo a loro disposizione per pochi tavoli? Sono destinati a fallire?
«Difficile avere una soluzione per ognuno di noi, dipende innanzitutto dalla collocazione del locale nel territorio, dal tipo di quartiere, dalla clientela. C’è grande incertezza del futuro, per tutti, anche per quelli cosiddetti grandi che non hanno spazio all’aperto, per esempio. In questo momento si salverà chi è più duttile, perché c’è bisogno di salvarla questa stagione anche con l’aiuto delle attività in corso in questo momento, tipo il delivery. Che ci ha intanto riaperto uno spiragli, regalato una nuova vita, ci ha fatto rincontrare fra di noi, rivedere i vecchi clienti e le persone dei quartieri ai quali siamo legati umanamente oltre che dal lavoro. Con il lavo
«Quella in Giappone non ha mai chiuso, mentre Miami e New York sono ferme. Le italiane, da Napoli a Roma e Milano, passando per Genova, sono tutte pronte. Adeguati alla prossima fase. Poi sta tutto a noi».
Ovvero?
«Bisogna rispettare le regole, per noi, ma soprattutto per la sicurezza dei clienti. Ma sono ottimista perché noi napoletani, noi campani abbiamo già dimostrato grande disciplina. E nessuno ha voglia di tornare indietro».