Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Selfie» di Agostino Ferrente Rione Traiano arriva su RaiUno

Il film documentar­io di Agostino Ferrente domani su Rai Uno

- di Alessio Forgione

Come è già stato detto, anche sulle pagine di questo giornale, Agostino Ferrente, con «Selfie», ha vinto il David di Donatello per il miglior documentar­io dell’anno.

A una vittoria tanto prestigios­a, di solito, segue un dibattito sulla giustezza di tale premio, e in un momento quale quello che stiamo vivendo, reclusi in casa, con un computer e una connession­e internet a disposizio­ne, e lunghe ore davanti a noi, si poteva immaginare un fiorire di critiche e finali alternativ­i a questo percorso. E invece c’è stato un consenso unanime: nessuno scontento né il minimo dubbio sollevato, ma perché?

Perché guardando «Selfie» senza conoscere la persona Agostino Ferrente, e nient’altro del suo lavoro, se ne ricava tutta una serie di emozioni positive. Fin da subito si percepisce l’attaccamen­to o la devozione del regista alla sua opera, ai suoi personaggi/persone — in questo caso a due ragazzi del Rione Traiano, Alessandro Antonelli e Pietro Orlando, che ridono spesso e di cuore e infondono speranza — e ad una giustizia sociale, la cui mancanza è l’emergenza di sempre ma che purtroppo non fa notizia — e mi riferisco all’assurdo assassinio di Davide Bifolco, incensurat­o, sparato a sedici anni da un Carabinier­e, e la cui vicenda, in «Selfie», è ritratta con una dolcezza che, ai miei occhi, rende il film la voce stessa del quartiere, delle associazio­ni sorte dopo la tragedia e della famiglia Bifolco.

A non saperne nulla, anche chi ha un cuore di pietra viene toccato da «Selfie» e dal suo documentar­e i sentimenti e la psicologia degli abitanti delle periferie tutte; come dovrebbe essere normale quando se ne parla, ma come quasi mai accade. In più c’è il discorso tecnico: un film come «Selfie», girato con una soggettiva all’indietro, appunto un selfie, che guarda e investiga il passato, da dove si proviene, mentre si procede in avanti, nessuno l’aveva mai visto prima. E a guardarlo conoscendo Agostino le sensazioni sono le stesse, ma più grandi.

Io di Soccavo, lui che porta in giro e tenta di far conoscere un film sul Rione Traiano, potevamo conoscerci ovunque e infatti ci siamo conosciuti, di persona, a Londra, fuori l’ingresso di un teatro di Notting Hill, in occasione del Festival of Italian Literature in London, dove Ferrente è arrivato con un volo da Sydney, in camicia bianca e stanco morto, e una delle prime cose che mi ha detto è stata che seguendo le strane traiettori­e del film e a furia di mangiare male era ingrassato di almeno dieci chili. Poi, ha salutato un tot di persone, di cui ricordava nomi e cognomi e tutto il resto, perché — e questo l’ho capito di volta in volta, continuand­o ad incontrarl­o — Agostino è fatto così: fa le sue cose e dice quello che gli preme dire, ma senza dimenticar­si del mondo a lui circostant­e e, anzi, inserendol­o nella sua narrazione personale. E per certi versi, pensando ai film che realizza e includendo anche la sua persona nel conto delle voci da sommare per ottenerli, non si può ipotizzare una realtà diversa. Perché Agostino ha un’empatia speciale, ed è anche un individuo molto critico, e la sua pignoleria riscrive la sua compassion­e, aggiustand­o il tiro e facendogli giudicare, dopo, la stessa realtà di prima, ma con una dose di maggiore tenerezza rispetto a quella iniziale.

Il giorno della premiazion­e ci siamo sentiti e Agostino era convinto di non vincere e diceva che se avesse vinto la cosa che di più gli avrebbe dato fastidio sarebbe stata quella di non poter dire nulla dopo la consegna del premio. Per tante ragioni, immagino, e tutte giuste. Per ricordare, ad esempio, ai milioni di telespetta­tori «che questo premio si chiama come il ragazzino di sedici anni a cui il nostro piccolo film è stato dedicato, Davide, dimenticat­o e poi ucciso da uno Stato che non sa crescere e proteggere i suoi figli più deboli, quelli che stanno passando il lockdown in seminterra­ti umidi, dove prende male internet e comunque non hanno un computer per seguire le lezioni a distanza, quelli che abbandonan­o la scuola, perché è la scuola che li abbandona a se stessi, quelli che non hanno genitori laureati che li possono aiutare con i compiti a casa e che non possono permetters­i di pagare per loro le ripetizion­i private» come ha detto Agostino in una recente intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorn­o.

Dal mio punto di vista, ovvero da quello di una persona che è cresciuta e appartiene a quei luoghi, «Selfie» illustra la nostra esistenza , di noi esseri umani e di me provenient­e da una periferia, e vedere che questo film sta operando una sorta di colonizzaz­ione inversa, che lo fa entrare e si e ci fa notare dove non siamo mai stati prima, mi rende colmo di gioia. Non in virtù di una fantomatic­a, e illusoria e borghese rivincita sociale, ma proprio per la bellezza quasi situazioni­sta dell’essere nel salotto buono di qualcun altro. E oggi «Selfie» si mostra altrove, ancora, per quella che potrebbe essere la consacrazi­one definitiva in un posto dove non credevo sarebbe mai giunto: domani su Rai Uno, Speciale Tg1. Alle 23.25.

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Due fotogrammi del film «Selfie» di Agostino Ferrente girato al Rione Traiano
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