Corriere del Mezzogiorno (Campania)
QUANDO IL CALCIO INCROCIA IL DIRITTO
In Germania il calcio è tornato. Eppure anche lì si sono avuti quasi duecentomila contagi. Le morti sono state di meno (forse, però, sul numero ha influito la diversa maniera di conteggiarle: non so, infatti, se sia vera la notizia riferitami per la quale essi attribuirebbero al virus soltanto le morti che ne siano diretta conseguenza). Ciò non toglie che la gravità dell’epidemia non sembra diversa da quella che si è avuta e si ha da noi o in Francia, Spagna, Inghilterra o altrove. Di qui la domanda: c’è in Germania molta incoscienza o altrove troppa prudenza? Oppure: che cosa rende così diversi i tedeschi?
Di sicuro hanno una capacità di organizzarsi collettivamente che a noi manca. Di sicuro questa capacità consente loro di agire in prevenzione, mentre noi interveniamo a cose fatte.
Di sicuro ciò dà loro l’enorme vantaggio di chi è davanti e il calcio ne è la riprova.
Molte sono le cause di questa differenza. Provo a indicarne una, del tutto opinabile, ma che mi sta particolarmente a cuore. Da noi il calcio è fermo anche per un problema di responsabilità. Se per avventura qualche protagonista si ammalasse e se si ripresentasse il pericolo di un contagio di gruppo, subito andremmo alla ricerca dei responsabili.
E subito spunterebbe la filiera dei danneggiati che chiedono giustizia o, più semplicemente, risarcimento. Il tema della responsabilità funge, così, da deterrente, per cui, non essendo possibile scongiurare il rischio da contagio, perché il calcio è uno sport in cui il contatto fisico è inevitabile, tutti vogliono essere al riparo dai rischi. I più esposti sono i calciatori. E tuttavia il calcio è la loro vita e nella stragrande maggioranza essi sembrano disposti ad accettare il rischio.
Per loro il problema potrebbe essere risolto semplicemente escludendo dalla rosa chi ha paura di contagiarsi (salvo a stabilire se in tal modo non si renda in qualche misura inadempiente).
Le preoccupazioni sono soprattutto del Governo, delle società e dei responsabili della salute dei giocatori nelle società. Questi ultimi vogliono una esenzione da responsabilità che il Governo non sa come dare. Anche la ripresa dello spettacolo calcistico, insomma, incrocia con il diritto; con il diritto che disciplina la responsabilità. E incrocia le rigidità del nostro sistema. Sarebbe possibile, da noi, introdurre norme di legge che escludano la responsabilità penale del medico che ha fatto schierare taluni giocatori poi risultati positivi? Una disposizione del genere non sarebbe in contrasto con l’inviolabilità del diritto alla salute? E potrebbero i pubblici ministeri non proporre l’azione penale, che è obbligatoria? E sarebbe possibile introdurre norme di legge che escludano la responsabilità civile (e forse anche penale) delle società che hanno permesso che i loro tesserati giocassero, posto che il diritto alla salute è inviolabile?
Di fronte a questi problemi per noi insormontabili, andiamo alla ricerca di espedienti. L’espediente al quale facciamo abitualmente ricorso
in questi casi è il regolamento. Ossia la predisposizione di regole di comportamento che fungono da scudo, in quanto basta osservarle (almeno, così ci si illude) per scansare i problemi di responsabilità. Non a caso si litiga sul regolamento, perché, in disparte che non è risolutivo (il giudice essendo sempre l’ultimo a dire la sua parola), anche il regolamento può essere causa di responsabilità per chi lo ha predisposto. Di qui la paralisi e non solo per lo spettacolo calcistico (sarebbe il male minore, essendo il calcio in qualche modo l’esaltazione dell’effimero), ma per qualsiasi attività (come dimostra la difficoltà di riprendere le attività commerciali nel rispetto di regole difficili da rispettare ed economicamente poco convenienti). Di qui il gigantismo burocratico che non possiamo eliminare perché è espressione del nostro costume di vita, a causa del quale, nei confronti della Germania (e
non solo), siamo condannati ad un’infinita e vana rincorsa.
Il diritto non è creta che si può modellare a suo piacimento. Raccoglie i valori di un popolo e dà loro voce. Da noi al primo posto viene la «persona» (art.2 Costituzione). In Germania al primo posto c’è la «dignità» delle persone (art.1 della loro Cost.). È la differenza fondamentale in base alla quale, in una situazione di grave difficoltà per il Paese, in Germania la popolazione si ritiene coinvolta nel rischio dell’epidemia e l’accetta senza andare alla ricerca dei responsabili di una situazione che è piovuta dal cielo (e ciò è possibile anche perché l’azione penale non è obbligatoria). In questo modo si coagula una solidarietà che noi non riusciamo ad esprimere. Siamo convinti che la nostra scala di valori è migliore. Anche se così fosse, dobbiamo, però, essere consapevoli che tutto ha un prezzo e che lo paghiamo.