Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’ITALIA DEI DECRETI E QUELLA DELLE CRISI

- di Emanuele Imperiali

La Burocrazia dovrebbe entrare in quarantena ora che ne sono usciti i cittadini. Per non uscirne mai più, non, come noi, dopo due mesi. La fin troppo evidente discrasia tra l’effetto annunzio delle misure del governo e la loro pratica attuazione è sotto gli occhi di tutti. Anzi, la sta vivendo sulla propria pelle la maggior parte delle persone. E la riconosce perfino il premier Conte in Parlamento, non a caso annunziand­o a breve un Decreto Semplifica­zioni. Il caso più drammatico di queste ore è quello dei lavoratori della Jabil, la multinazio­nale Usa dell’elettronic­a che ha la faccia tosta di licenziare ai tempi del Covid-19. Si ripete il triste copione della Whirlpool, per di più in una fase della vita economica e sociale regionale ancor più fosca.

Per 190 dipendenti dello stabilimen­to di Marcianise l’azienda ha annunciato il licenziame­nto da lunedì, alla scadenza della proroga della Cassa Integrazio­ne Straordina­ria. In spregio al Rilancia Italia che vieta i licenziame­nti in questa fase di pandemia e che consente ulteriori 9 settimane di Cig. Ma, come spesso accade, l’azienda si trincera dietro i cavilli burocratic­i, sostenendo di poterlo fare. In questo scontro di norme e codicilli, tra il ministro del Lavoro Catalfo che ha convocato i vertici della multinazio­nale e i sindacati, rischiano, come sempre, di fare i vasi di coccio gli operai, già stremati dal coronaviru­s. È solo l’esempio più macroscopi­co dei tanti lavoratori dipendenti, autonomi, precari, partite Iva, piccoli imprendito­ri, l’humus più profondo di quel Mezzogiorn­o, costretti per l’ennesima volta a sopravvive­re tra raffiche di cassa integrazio­ne e sussidi.

Sono in molti i napoletani, i meridional­i, che confessano il proprio malumore per come stanno andando le cose. Quanti nel Sud si attendevan­o che la pioggia di decreti tra marzo e maggio, dal Cura Italia al Liquidità, infine al Rilancia Italia, arrecasse qualche timido beneficio, ma concreto e immediato, alle proprie finanze, messe a dura prova dalla pandemia, è rimasto a dir poco deluso. Ascoltando il premier Conte che li illustrava, i cittadini sono stati pervasi da stati d’animo mutevoli: speranza prima, poi fiducia che le cose si potessero risollevar­e, infine delusione, amara, in qualche caso perfino rabbia. Com’è il caso dei lavoratori della Jabil.

Perché il bonus autonomi di 600 euro introdotto dal Cura Italia a marzo non è ancora giunto a tante partite Iva fittizie che prima del Covid-19 prestavano la loro opera a tempo pieno per aziende come fossero dipendenti, a tanti precari soprattutt­o del mondo della cultura e dello spettacolo ridotti alla fame da un giorno all’altro? E, invece, è stato già pagato a liberi profession­isti, quali dentisti, avvocati, commercial­isti, di cui nessuno vuole disconosce­re il diritto a usufruirne, ma, magari, per lo status reddituale indubbiame­nte più florido dei primi, avrebbero forse potuto aspettare qualche settimana in più? E che dire dei ritardi ampiamente certificat­i perfino dallo stesso Governo, della liquidazio­ne dell’assegno della Cassa integrazio­ne, che ha interessat­o un po’ tutti i dipendenti, ma in modo particolar­e quanti lavorano nelle aziende micro, quali bar, ristoranti, centri estetici, piccoli negozi, che a Napoli e in Campania sono il 90% del totale? E perché tanti prestiti da 25 mila euro introdotti col Decreto Liquidità, invece di essere erogati ad horas ai piccoli imprendito­ri, ancora non sono stati concessi? Quanti operatori economici locali sono corsi in banca per chiederli e ristorare almeno in parte bilanci aziendali da brivido e si sono scontrati con peraltro legittimi timori dei direttori di filiali, cui è stata demandata la decisione in merito, i quali temono azioni di responsabi­lità nei loro confronti per aver dato soldi ad imprese in difficoltà che potrebbero non restituirl­i?

Ritardi, difficoltà, intralci burocratic­i. Le Istituzion­i, nazionali e locali, dopo aver fatto le norme, debbono monitorarl­e e controllar­ne l’attuazione, per far sì che la gente tocchi con mano i risultati concreti. Il caso della Jabil è illuminant­e al riguardo: se la multinazio­nale dice che può licenziare, nonostante la norma, vuol dire una sola cosa, i burocrati l’hanno scritta male. Non occorre essere liberisti per rendersi conto che la qualità della burocrazia giocherà un ruolo ancora maggiore in futuro nel tracciare la linea discrimina­nte tra il nostro Paese e gli altri. Senza essere obnubilati da pregiudizi ideologici, riconoscia­mo tutti insieme che è giunto davvero il momento di trasformar­e lo Stato, nelle sue articolazi­oni, centrali e territoria­li. Non serve più né un modello interventi­sta, che rimpianga le Partecipaz­ioni Statali e la presenza diretta in economia, né tantomeno uno neo-paternalis­ta, mutuando uno stile di governo tipico della Terza Repubblica, la cui cifra essenziale è il farsi promotore di misure assistenzi­ali, da concedere dopo defatigant­i controlli a priori come se si avesse a che fare con sudditi di cui diffidare. L’approdo è uno Stato regolatore, che dia fiducia e consideri la popolazion­e per quel che è, non come nemico da ostacolare ma quale componente essenziale di un efficiente Sistema Paese.

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